I termini dei procedimenti di valutazione di impatto ambientale (VIA) sono perentori anche per i progetti non prioritari, non sovvenzionati col Pnrr o con il fondo complementare. Lo ha stabilito il Consiglio di Stato (CdS) con la sentenza 6503/2025 del 22 luglio.
In particolare, il Collegio si è espresso interpretando le novità legislative introdotte dai decreti legge 17/2022 e 153/2024 che hanno modificato l’articolo 8 del Codice dell’Ambiente. Il CdS ha stabilito che l’inosservanza delle scadenze è in ogni caso illegittima e, pertanto, ha respinto i ricorsi mossi dal ministero dell’Ambiente (Mase) e dal ministero della Cultura (MIC) contro una precedente sentenza del TAR che li dichiarava colpevoli per non essersi espressi entro i termini previsti per legge sulla valutazione ambientale di un impianto agrivoltaico.
“Una sentenza che assume rilievo sistematico non solo per la chiarezza interpretativa offerta sul rapporto tra le recenti novelle normative e il regime dei termini procedimentali della VIA, ma anche per aver ribadito il principio della certezza dei tempi dell’azione amministrativa, quale presidio fondamentale per l’effettività degli investimenti nel settore della transizione energetica”, scrive in una nota lo studio legale Andrea Sticchi Damiani che ha difeso l’operatore in causa.
Fatto e ricorso
A giugno 2023 la società Pacifico Pirite Srl ha trasmesso ai due ministeri un’istanza di avvio del procedimento di VIA relativa al progetto di un impianto agrivoltaico da 29,36 MW denominato “Solar Blooms” nel Comune di Civita Castellana (VT).
A seguito di consultazione pubblica avviata dal competente dicastero e conclusasi senza alcuna osservazione, a settembre 2023 la Regione Lazio ha trasmesso il proprio contributo istruttorio nell’ambito del procedimento di VIA. Successivamente, non sono stati adottati ulteriori atti di impulso del procedimento.
A seguito di una protratta stasi procedurale, con ricorso depositato a novembre 2024 la società ha evocato in giudizio, dinanzi al TAR Lazio, i due ministeri domandando, in particolare, che venisse accertata l’illegittimità del silenzio serbato dalle amministrazioni sulla propria istanza e che queste venissero condannate a provvedere.
I ministeri intimati si sono costituiti in giudizio sostenendo che, per i progetti di impianti di produzione di energia rinnovabile di minor potenza, il termine di conclusione dei procedimenti di VIA non sia “perentorio”, nel senso che il suo decorso non esporrebbe le autorità alle conseguenze del silenzio inadempimento.
Con sentenza pubblicata l’11 febbraio 2025 il tribunale ha accolto il ricorso constatando l’illegittimità dell’inerzia del Mase e del MIC. La sentenza è stata appellata dai ministeri soccombenti che, come unico motivo di appello, hanno dedotto che la sentenza del TAR si ponga in contrasto con l’articolo 8 del Codice dell’Ambiente.
Sentenza
La causa è stata trattenuta in decisione alla camera di consiglio del 5 giugno. La soluzione del problema, scrive il Collegio nella sentenza, dipende dall’interpretazione del citato articolo 8 come modificato e integrato dai DL 17/2022 e 153/2024.
Il Collegio, in estrema sintesi, ha rilevato che la perentorietà dei termini procedimentali della VIA è “sui generis” e che per i procedimenti riguardanti l’ambiente “non vigono forme di silenzio significativo”. Ne consegue che il silenzio dell’amministrazione a seguito della scadenza dei termini rimane sottoposto al regime generale dell’articolo 2 della legge 241/1990, “assumendo le fattezze del silenzio inadempimento, con il correlato accesso del proponente ai rimedi cd. successivi all’inerzia, consistenti nell’azione avverso il silenzio e nel risarcimento del danno da ritardo”.
Il CdS ha inoltre evidenziato che “eliminare una qualsiasi forma di obbligo di provvedere, a fronte di un termine preciso (ancorché “perentorio” in senso improprio) previsto dalla legge, porterebbe a rendere il potere dell’amministrazione ‘libero nell’an’, con i già rilevati dubbi di compatibilità con la Costituzione e con la disciplina eurounitaria. Il dovere di fornire una interpretazione conforme a tali fonti sovraprimarie imporrebbe dunque, in ogni caso, anche laddove il dato testuale non fosse chiaro, come in realtà è, di considerare l’esistenza (almeno) di un obbligo di provvedere a fronte della fissazione ex lege di un termine preciso”.
In definitiva il Consiglio di Stato ha respinto l’appello dei due ministeri confermando la sentenza impugnata con diversa modulazione dell’effetto conformativo.
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