Non c’è disparità di trattamento tra i titolari di impianti di fonti energetiche rinnovabili (FER) non ancora ispezionati e già ispezionati nei controlli effettuati dal Gestore dei Servizi Energetici (GSE) per accertare il rispetto dei requisiti di finanziamento. Il principio del “tempus regit actum” (il tempo regola l’atto) giustifica il diverso trattamento riservato ai soggetti che sono già stati oggetto di controllo e garantisce uguaglianza e ragionevolezza rispetto ai principi di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione.
Lo ha chiarito il Consiglio di Stato (CdS) respingendo, con sentenza 7409/2025 del 19 settembre, l’appello presentato da Growenergy Srl avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale (TAR) del Lazio che aveva già in buona parte rigettato la richiesta di annullamento con cui è stata rideterminata la tariffa incentivante ottenuta col decreto ministeriale (DM) 19 febbraio 2007.
Fatto e diritto
Con ricorso al TAR Lazio, Growenergy, titolare di un impianto fotovoltaico da 98,70 kW nel Comune di Leverano (LE), chiedeva l’annullamento del provvedimento del 20 maggio 2019 con cui il GSE, all’esito di un procedimento di verifica, aveva concluso che l’impianto era carente dei requisiti per l’accesso al beneficio ottenuto.
La società aveva infatti già chiesto e ottenuto la concessione, a ottobre 2011, di una tariffa incentivante pari 0,422 €/kWh, e lo aveva ottenuto nella misura di 0,339 €/kWh a far data dalla sua entrata in esercizio (marzo 2011).
Nel merito, con il provvedimento impugnato con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, il GSE ha rilevato, dal confronto tra le fotografie inviate dalla società e quelle scattate nel corso di un sopralluogo in sede di successiva verifica, che le prime evidenziavano la mancata installazione del dispositivo di protezione d’interfaccia esterna, contenuta nel quadro generale bt.
La giustificazione offerta in sede di contraddittorio dalla società che, nel riconoscere l’avvenuto caricamento di una foto riferita ai lavori in corso, aveva sostenuto che la fattura di acquisto datata agosto 2010 dimostrava il possesso della protezione di interfaccia, non avrebbe fornito elementi utili per nuove e diverse valutazioni.
La ricorrente aveva inoltre presentato due ricorsi per motivi aggiunti: il primo per contestare la legittimità del provvedimento impugnato, il secondo per impugnare il provvedimento di marzo 2021 con cui il GSE aveva respinto l’istanza di riesame in autotutela presentata dalla ricorrente.
Il TAR con sentenza di primo grado respingeva il ricorso principale e il primo ricorso per motivi aggiunti e accoglieva in parte il secondo, ritenendo che il provvedimento di riesame fosse viziato per difetto di motivazione.
Appello e sentenza
L’appello al Consiglio di Stato è stato affidato a tre motivi di impugnazione.
Con un primo motivo di appello, Growenergy ha dedotto l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha respinto il primo motivo del ricorso introduttivo, con cui aveva sostenuto che il GSE non avrebbe tenuto conto della documentazione, anche di natura fotografica, e delle spiegazioni alternative fornite in sede di verifica.
Il motivo, scrive il CdS, è infondato in quanto la società non ha adempito ai requisiti previsti.
Con il secondo motivo di appello, la società ha supposto l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha respinto il secondo motivo del ricorso introduttivo con cui aveva lamentato l’illegittimità del provvedimento impugnato per violazione dei principi in materia di autotutela amministrativa e di tutela dell’affidamento.
Con il terzo motivo di appello, Growenergy ha lamentato il rigetto dei primi motivi aggiunti e, sia pur parzialmente, dei secondi motivi per non aver preso in considerazione la normativa sopravvenuta con cui il legislatore avrebbe chiarito la soggezione dell’operato del GSE ai principi dell’autotutela amministrativa.
Il secondo e il terzo motivo di appello sono stati esaminati congiuntamente dal Collegio per ragioni di connessione ed entrambi sono infondati.
Il Consiglio, con un orientamento “pressoché univoco”, ha escluso che i provvedimenti di decadenza adottati dal GSE “siano riconducibili al paradigma sanzionatorio o dell’autotutela, costituendo, viceversa, espressione di un potere di verifica, accertamento e controllo, di natura doverosa ed esito vincolato, che è volto ad acclarare lo stato dell’impianto e ad accertarne la corrispondenza rispetto a quanto dichiarato dal soggetto interessato in sede di richiesta di ammissione”.
La decadenza dell’incentivo originariamente assegnato “ha natura ripristinatoria di un assetto procedimentale alterato dall’erronea asseverazione della presenza di requisiti invece mancanti”.
Infine, la prospettata questione d’illegittimità costituzionale è manifestamente infondata, “in quanto la disposizione – che, come in precedenza chiarito, non riguarda il diritto sanzionatorio – è rispettosa del principio generale del tempus regit actum, che giustifica il diverso trattamento riservato ai soggetti che, come la società appellante, sono già stati destinatari del controllo e del conseguente provvedimento del GSE e sottrae la norma al dubbio di un vulnus rispetto ai principi di uguaglianza e ragionevolezza o dei principi di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione”.
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