Le imprese industriali italiane hanno risposto bene alla sfida della transizione energetica, con un comparto cleantech ormai solido e in rapida crescita. Si tratta di un settore ad alta marginalità che oggi vale 57 miliardi di euro di fatturato con 25 miliardi di valore aggiunto, di cui 12 miliardi diretti e 13 miliardi nell’indotto di prossimità.
È quanto emerge dallo studio “L’Italia delle Cleantech: investimenti, occupazione, lavoro” dell’Energy&Strategy Group della School of Management del Politecnico di Milano. Lo studio analizza le filiere del cleantech, dalla produzione di componenti e tecnologie fino alle attività di gestione e manutenzione degli asset, includendo nei conteggi settori come la generazione elettrica da rinnovabili, pompe di calore residenziali e industriali, tecnologie per lo stoccaggio elettrico e l’adeguamento della rete, colonnine di ricarica per veicoli elettrici, cavi, inverter, fino alle tecnologie per l’efficientamento energetico e per il riciclo e il riuso dei materiali.
Il potenziale di crescita è notevole: proiettando le curve di crescita attuali, si stima che le imprese italiane del settore, con un adeguato contesto normativo e strategico, arriveranno a fatturare 87 miliardi di euro al 2030 (+53% rispetto a oggi), attivando 33 miliardi di valore aggiunto complessivo (17 miliardi diretti e 16 nell’indotto, con una crescita del 32%).
Le filiere cleantech impiegano oggi 130 mila addetti diretti, tra professionisti, tecnici e operai, destinati a diventare 173 mila entro il 2030 (+33% in 5 anni). Questa crescita occupazionale richiede competenze in continua evoluzione: un fabbisogno di manodopera e di formazione per cui manca adeguata risposta dal sistema educativo e formativo.
Gli impatti economici delle cleantech
Il contributo più significativo arriva dal grande universo dell’efficienza dei consumi e delle risorse, un aggregato che da solo raggiunge 42,4 miliardi di euro di mercato. All’interno di questa categoria, l’efficienza energetica residenziale, quella industriale, le pompe di calore e l’economia circolare rappresentano comparti maturi e in forte trasformazione. Queste filiere generano 37,5 miliardi di euro di ricavi per le aziende italiane, con un valore aggiunto diretto di oltre 9,1 miliardi. Ancora più rilevante è l’impatto sul resto dell’economia: l’indotto attivato da efficienza ed economia circolare produce 40,4 miliardi di euro di fatturato e 11,3 miliardi di valore aggiunto indiretto, grazie a una filiera che mobilita fornitori, tecnici, progettisti, servizi e manifattura distribuiti in tutte le regioni italiane. A questi numeri va poi aggiunto il beneficio economico portato dai risparmi di energia e di risorse, che rende ancora più significativo il loro impatto.
Il secondo grande ambito è quello della generazione da fonti rinnovabili e della produzione di vettori energetici puliti. Qui il mercato ha un valore attuale di oltre 10 miliardi, generando 7,1 miliardi di ricavi nazionali, 2,1 miliardi di valore aggiunto diretto e un indotto che ammonta a 6,1 miliardi di fatturato e 1,7 miliardi di valore aggiunto. Il fotovoltaico e l’eolico continuano a rappresentare la quota più ampia degli investimenti, ma la ricerca evidenzia come un potenziale significativo per i prossimi anni risieda nello sviluppo del biometano e della filiera degli elettrolizzatori per la produzione di idrogeno verde. E ancora, da queste stime è escluso l’impatto economico associato all’energia prodotta, anch’esso rilevante: basti pensare che oggi all’energia prodotta da fotovoltaico ed eolico e il biometano prodotto nei digestori possiamo associare un valore pari a circa 6,7 miliardi di euro.
Infine, il comparto delle infrastrutture, che comprende sia le reti di trasmissione sia i sistemi di accumulo e le infrastrutture di ricarica per la mobilità elettrica, vale 4,5 miliardi di euro. Si tratta di un settore che produce 2,3 miliardi di ricavi per le imprese italiane e 0,6 miliardi di valore aggiunto diretto, con un effetto indiretto pari a 1,2 miliardi di fatturato e 0,3 miliardi di valore aggiunto. La dinamica degli investimenti nei prossimi anni dipenderà in larga parte dalla diffusione dei veicoli elettrici, dall’avvio del mercato della capacità di accumulo, e dagli interventi di rafforzamento delle reti elettriche, indispensabili per integrare volumi crescenti di energia rinnovabile.
Se complessivamente, queste tre macro-aree generano oggi un mercato da 57 miliardi e un valore aggiunto pari a 25 miliardi, guardando al futuro, il potenziale stimato al 2030 raggiunge 87 miliardi di mercato e 33 miliardi di valore aggiunto complessivo (17 diretto e 16 indiretto), una prospettiva realizzabile solo in presenza di condizioni abilitanti chiare: certezza normativa, autorizzazioni rapide, sostegno agli investimenti strategici e sviluppo di filiere nazionali nelle tecnologie emergenti.

“La direzione è chiara: le Cleantech non rappresentano solo una condizione necessaria per raggiungere gli obiettivi climatici, ma sono un’opportunità industriale ed economica per il Paese”, afferma Davide Chiaroni, responsabile scientifico della ricerca. “Parliamo di filiere con un potenziale di sviluppo enorme, in grado di generare investimenti, valore e occupazione lungo tutto il territorio nazionale. Per questo diventa fondamentale agire sulla certezza normativa, elemento senza il quale le imprese non possono pianificare con orizzonti adeguati”.
Lo studio conferma come l’Italia presenti punti di forza consolidati e una posizione di leadership in numerosi comparti. Quelle dell’efficienza energetica e delle rinnovabili sono filiere per le quali già oggi il valore aggiunto generato in Italia vale il 20% del mercato totale, considerando quindi sia produzione nazionale che importazioni. Il valore sale a 30% per le infrastrutture di rete e di ricarica. Al tempo stesso, alcune tecnologie emergenti mostrano margini di crescita in Italia ancora più ampi: è il caso della produzione di elettrolizzatori per l’idrogeno verde e dei sistemi di accumulo, entrambi settori cruciali nella nuova architettura energetica.
Gli impatti sul mercato del lavoro
Il contributo delle cleantech non si misura però solo in termini di valore economico, ma anche nella loro capacità occupazionale. Attualmente, le filiere considerate impiegano circa 130.000 addetti diretti in Italia. Secondo la ricerca, con uno scenario di sviluppo coerente con gli obiettivi 2030, gli occupati diretti potrebbero crescere del 33%, arrivando a 173.000 unità. Tra tutti i comparti analizzati, quello delle rinnovabili è destinato a offrire il maggior contributo alla crescita, con un incremento atteso di 28.000 posti di lavoro nei prossimi anni. Si tratta di occupazione che si distribuisce lungo tutte le fasi della catena del valore: progettazione e ingegneria, produzione e assemblaggio, installazione e manutenzione. E questa è solo una parte dell’impatto: nelle stime, infatti, non sono inclusi tutti i posti di lavoro creati dall’indotto associato alle cleantech.
A questa crescita, però, si accompagna un elemento di forte attenzione: la difficoltà delle imprese nel reperire molte delle figure professionali necessarie. La ricerca mostra come ingegneri elettrici ed elettronici, tecnici installatori, manutentori specializzati e operatori qualificati degli impianti già oggi scarseggino. Per alcune professioni tecniche, le imprese segnalano livelli di difficoltà di reperimento superiori al 70%, un dato che rischia di rallentare la diffusione delle tecnologie pulite e di limitare la capacità del settore di crescere secondo gli scenari più ambiziosi.
È uno dei paradossi del momento: mentre le cleantech rappresentano una filiera con una prospettiva di crescita stabile nel medio-lungo periodo, il sistema formativo fatica ad alimentare un flusso adeguato di competenze. Gli istituti tecnici coinvolti nelle filiere energetiche ed elettriche rappresentano meno del 4% degli iscritti complessivi, e il numero di laureati magistrali nelle discipline più rilevanti si attesta intorno al 5% del totale, con un peso specifico in calo proprio nei percorsi elettrici ed elettronici, che sono tra quelli più richiesti dal mercato. A ciò si aggiunge un divario di genere ancora molto forte, soprattutto nelle discipline ingegneristiche.
Il mondo professionale coinvolto nello sviluppo del mercato delle cleantech rappresenta quindi un enorme mercato di sbocco per i giovani, ma è necessario rendere attrattivi questi settori, sottolineandone il potenziale di crescita ma anche l’evoluzione continua delle competenze associata al loro sviluppo. Va infine sottolineato – considerazione non di secondo piano – che le valutazioni espresse in questa ricerca riguardano il ristretto perimetro delle cleantech esaminate, e che le opportunità lavorative indirette farebbero raddoppiare il potenziale occupazionale.
Le nuove competenze
Le competenze richieste nei prossimi anni saranno, inoltre, in rapida evoluzione. Accanto alle conoscenze tecniche tradizionali, saranno fondamentali competenze digitali legate all’Internet of Things, alla cybersecurity, ai modelli predittivi basati su intelligenza artificiale, alla gestione di digital twin e al monitoraggio avanzato degli impianti. Altrettanto centrali saranno le competenze legate all’innovazione tecnologica, dall’automazione industriale alle scienze dei materiali, insieme alle competenze di rendicontazione e analisi richieste dai nuovi standard ESG, dai processi di due diligence e dalle metodologie di Life Cycle Assessment. Questa trasformazione profonda delle competenze, si legge nel rapporto, è una delle leve principali per rendere il settore più attrattivo, soprattutto per i giovani in cerca di prospettive professionali solide e innovative.
“La crescente domanda di competenze, unita alla loro rapida evoluzione, ci dice che abbiamo una grande responsabilità nell’orientare e formare le nuove generazioni”, commenta ancora Chiaroni. “È un’opportunità che il Paese non può permettersi di perdere”.
Da ultimo, è fondamentale sottolineare come l’evoluzione continua delle competenze rappresenta anche una grande opportunità per valorizzare la forza lavoro esistente attraverso un processo di reskilling che possa aiutare le imprese a colmare i gap tra competenze disponibili e competenze richieste.




