Urbanista: dinieghi MASE saliti dal 15-20% dell’inizio 2024 al 25%

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pv magazine Italia ha parlato nuovamente con Alessandro Visalli, architetto e urbanista con venticinque anni di esperienza nella consulenza ambientale. L’anno scorso avevamo parlato del suo esercizio di monitoraggio dei procedimenti per impianti FV al Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE). Questa volta siamo tornati sulla questione per capire le novità degli ultimi mesi. “Il MASE ha aumentato il ritmo, anche notevolmente, ma eliminando del tutto le richieste di integrazione, i tavoli tecnici, e lo sforzo di correggere i progetti”, ha detto Visalli.

Secondo le informazioni disponibili nel solo mese di maggio sono stati conclusi dal MASE 13 procedimenti di VIA e 6 dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Lo dice lei in un recente post LinkedIn, aggiungendo che oltre la metà di questi sono stati bocciati, per effetto di un parere negativo del MASE, al quale ha fatto seguito un più ovvio parere negativo del Ministero della Cultura (MIC). Fino a poco tempo fa la situazione era diversa, o sbaglio?

In effetti è così, dopo l’avvio lento del 2022 nel 2023 il MASE aveva preso il ritmo di quasi cento procedimenti conclusi all’anno, ma in quel contesto si registravano alcune regolarità che sembrano venute meno negli ultimi mesi: la Commissione CT_VIA era molto proattiva e cercava di mandare richieste di integrazione, oltre a fare Tavoli tecnici, per individuare per tempo le lacune nei progetti e nella documentazione da sanare; in conseguenza i progetti venivano ristrutturati, a volte profondamente, durante molti mesi di procedimento, ma in genere i pareri finali erano positivi. Viceversa il MIC, sia la Soprintendenza Speciale Pnnr e soprattutto le Soprintendenze territoriali, era molto meno reattivo e dava parere contrario nel novanta per cento dei casi. Nel corso del 2024 e poi in questo avvio del 2025 le cose sono cambiate, gradualmente il MASE ha aumentato il ritmo, anche notevolmente, ma eliminando del tutto le richieste di integrazione, i tavoli tecnici, e lo sforzo di correggere i progetti; in conseguenza durante l’anno sono cresciuti i dinieghi, dal 15-20% dell’inizio dell’anno al 25% della fine dell’anno e oltre in questo inizio. Al contempo il MIC ha cominciato a dare qualche parere favorevole in più, ma sempre raramente.

Il MASE quindi risulta meno favorevole a priori. Ci sono delle motivazioni sostanziali legate ai progetti o si tratta, secondo lei, di motivazioni politiche? Quali sono insomma i fattori che hanno portato il MASE a cambiare l’approccio a progetti fotovoltaici?

Ritengo che la ragione fondamentale sia da rintracciare nell’ingorgo insopportabile di progetti pendenti, nel rischio conseguente di ricorsi, e nell’imminente provvedimento per lo sblocco delle reti. Il Ministero non può più permettersi di essere considerato quello che rallenta e quindi cerca di liberarsi il tavolo dai procedimenti. Se si leggono le motivazioni, si nota in trasparenza la preoccupazione di ricevere opposizioni e lo sforzo di coprirsi dando la colpa ai progetti e, soprattutto, alla loro esposizione.

Lei scrive che ben 8 progetti sono stati rigettati, per una potenza cumulata di 988 MW, mentre solo 5 sono stati promossi, per una potenza cumulata di 250 MW. In termini di potenza sono stati bocciati 4/5 dei progetti ed in termini di numero 2/3. Possiamo ipotizzare si tratti di un’opposizione a grandi progetti?

Questo si vedrà, ma sarebbe illogico e controproducente dal lato del Ministero, infatti occorre ricordare che tutto questo accade perché ci sono degli obiettivi di decarbonizzazione. Raggiunti i quali, come è già accaduto, si fermeranno le autorizzazioni. Ma gli obiettivi sono quantitativi e non riguardano il numero di progetti approvati, bensì la quantità di energia prodotta. Ora, è facile concluderne, con un esercizio di matematica da liceo, che un progetto da 150 MW, che produce -poniamo- 2,2 GWh all’anno ha il medesimo impatto sui target di 10 progetti da 15 MW con pari tecnologia. Ma i 10 progetti sono sparpagliati su un territorio enormemente più ampio (qui si dovrebbe passare a nozioni di base di urbanistica), attraversano la viabilità con elettrodotti in ogni dove (nel gergo urbanistico, generano sprawl) e richiedono dieci procedimenti, invece di uno. Meglio approvare progetti grandi e pochi che piccoli e molti. A parità di numero di vani meglio una città di una enorme campagna urbanizzata. La cosa, secondo me, è da vedere da un altro angolo: un grande progetto interessa superfici molto ampie, nelle quali si trovano frequentemente situazioni ambientali e territoriali complesse, reti idriche, aree instabili, boschi e gareghe, molte specie protette e non, situazioni paesaggisticamente differenziate… Richiede, in altre parole, una progettazione molto più attenta, paziente, competente (e con molte e diverse competenze), analitica, e costosa. Dunque, nel contesto di un restringimento dei criteri di giudizio finiscono per essere più esposti.

In Presidenza del Consiglio (PdC) è andata meglio, spiega lei, con 6 progetti approvati, per una potenza complessiva di 497 MW. Purtroppo, come si sa, il rinvio alla Pdc, può comportare anche due anni di attesa supplementare. In generale ci possiamo aspettare un rallentamento delle autorizzazioni in Italia?

Non credo, anzi il contrario, bisogna ricordare che fino al 2023 le procedure ambientali andavano con il contagocce. Inoltre, come si sa, le valutazioni ambientali non sono le autorizzazioni, dopo arriva la parte più difficile. Comunque, ritengo che quello di maggio sia solo un mese sfortunato, presumibilmente i dinieghi si attesteranno su numeri minori. E quindi il saldo tra più valutazioni chiuse ed una percentuale maggiore di dinieghi dovrebbe essere comunque positivo. La questione è diversa, avere un diniego dopo due o, in alcuni casi, tre anni di procedimento è molto pesante. Ci sono casi in cui i progetti sono semplicemente irrecuperabili, ma altri in cui basterebbe più cura. In questi casi bisognerebbe agire prima che sia troppo tardi, riportare il progetto al tavolo di lavoro e migliorarlo, in modo da rendere al Ministero difficile bocciarlo.

Lei ha letto anche i pareri della Commissione CT_VIA, capendo i motivi prevalenti dei rigetti. Può spiegare quali siano le motivazioni più eclatanti? Si tratta di carenze nella documentazione o di carenze progettuali? Nel caso, la qualità dei progetti è diminuita nel tempo?

Ci sono entrambe, ma c’è un punto estremamente importante che va compreso: i progetti non sono mai respinti per difetti, se non macroscopici, nella parte di progettazione elettrica. Ci sono due ragioni per questa apparente stranezza, forse tre: la prima è che qui si sta parlando della Valutazione Ambientale e non della valutazione di fattibilità tecnica, quella, se mai, si fa sull’esecutivo. La seconda è che la pubblica amministrazione tende a considerare le soluzioni tecniche in senso stretto come “scatole nere”, se l’investitore ritiene di proporre una soluzione e che funzioni si tende a dare credito. La terza è che le Commissioni sono egemonizzate da specialisti ambientali, naturalisti, geologi, agronomi, territorialisti, medici, se mai paesaggisti e specialisti di impatto culturale (più nel MIC), archeologi. Quindi lo specialista tecnico è in larga minoranza, il suo punto di vista pesa poco.

Detto tutto questo, le carenze progettuali che fanno la differenza sono di natura ambientale. Quindi la sottovalutazione dell’impatto del progetto sulla biodiversità, l’equilibrio idrico e idrogeologico, sul paesaggio. E ciò che, più di tutto, fa la differenza sono le carenze nella descrizione dei comparti ambientali e dei potenziali impatti su questi. Anche qui c’è un punto tecnico, in fondo: lo scopo della valutazione è soppesare i pro e contro del progetto, l’obiettivo della documentazione deve essere fornire in modo completo, ordinato e chiaro gli elementi perché il valutatore possa decidere se prevalgono i primi o i secondi. Per questo il tratto comune di molti respingimenti è una frase apparentemente innocua: il proponente non ha messo la Commissione nelle condizioni di formare un parere.

Per quanto attiene l’ultima domanda, se la qualità dei progetti è diminuita nel tempo, è difficile da dire, anche perché giungono a conclusione progetti di epoche diverse insieme. Ma non credo, piuttosto credo tenda a diminuire la qualità dei siti (se per questo si intende siti compatti, non sparpagliati e in aree a bassa visibilità), perché cresce la difficoltà a trovarne.

Il governo sembra quindi più attento alle richieste di compensazione e mitigazione, giusto? Sembra anche l’orientamento generale di nuovi progetti, o sbaglio?

Sicuramente, ci sono negli ultimi pareri, sia positivi sia negativi, indicazioni sempre più precise e conformanti sulle mitigazioni. MASE e MIC stanno sviluppando una crescente insofferenza per le mitigazioni fatte con una siepe uniforme lungo il perimetro, e chiedono sia varietà e scelta attenta delle piante, sia effetti di potenziamento della biodiversità (la cosiddetta mitigazione “doppio uso”). Ma chiedono, e prescrivono, sempre più anche interventi di compensazione non economici, bensì in termini di potenziamento della biodiversità. Qualche progetto lo sta recependo, ci sono buoni progetti in giro.

Ci dobbiamo aspettare per il futuro una maggiore attenzione a un lavoro interdisciplinare?

Chi non vuole rischiare di spendere anni, anche nelle regioni (se non soprattutto), con le nuove procedure regionali, in procedimenti faticosi, pieni di richieste di integrazione, ostilità degli uffici e dei territori, per poi fallire, dovrebbe investire sul progetto e sul procedimento. È difficile ridurlo ad una formuletta perché ogni caso è diverso, ma un tratto comune per un progetto di qualità c’è sicuramente: l’esistenza alla sua base di un effettivo e affiatato gruppo di lavoro che unisca le medesime competenze delle Commissioni. In modo da affrontare i progetti per quello che sono: una grande trasformazione territoriale e non un mero impianto.

Cosa vuol dire questo per investitori stranieri? Riusciranno a capire i nuovi trend autorizzativi italiani?

Io non penso che questa attenzione, la centralità della valutazione ambientale, sia una specificità solo italiana. Anni fa in un grande progetto internazionale di biomasse ci confrontammo con gruppi di specialisti della Florida e del Texas, l’importanza della Valutazione Ambientale e delle relative agenzie gli era familiare. Forse ciò che lo era meno è la centralità delle Soprintendenze. Ma anche qui, vorrei spendere una lancia: loro servono, può essere utile anche la resistenza (e, sicuramente, senza accadrebbero trasformazioni che non vogliamo), e non è vero che dicano sempre di no. Abbiamo avuto negli ultimi anni quattro volte parere favorevole. Ma, ovviamente, bisogna lavorarci.

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