Settimana scorsa, Italia Solare ha trasmesso al Mse e al Mimit un documento contenente analisi e proposte operative sull’applicazione del Net Zero Industry Act (NZIA) alle aste per nuovi impianti da fonti rinnovabili, con l’obiettivo di sfruttare appieno il potenziale dell’NZIA per sviluppare una filiera fotovoltaica europea competitiva.
L’associazione propone di inserire nei prossimi decreti sulle aste un chiaro requisito di produzione in Europa, indipendente dalla proprietà o dal controllo delle imprese, in modo da favorire investimenti industriali e la creazione di occupazione qualificata.
Nel documento si ricorda che l’Italia è tra i primi Paesi ad aver introdotto misure a favore della manifattura europea tramite il requisito “Made in EU” nel decreto Transizione 5.0 e premi nel nuovo Conto Termico, apprezzandone l’impianto ma chiedendo di rivedere i criteri che graduano l’intensità degli incentivi. Sul decreto FER X Transitorio l’associazione critica invece il GSE per aver escluso dalle aste NZIA non solo i prodotti fabbricati in Cina, come previsto, ma anche quelli provenienti da stabilimenti extra-Cina sotto controllo cinese, giudicando questa scelta rischiosa perché può creare nuove dipendenze da pochi Paesi terzi e scoraggiare investimenti industriali in Europa da parte di player globali.
pv magazine Italia ha parlato con Andrea Rovera, consigliere di Italia Solare e co-coordinatore del Gruppo di lavoro “Filiera produttiva e approvvigionamenti sostenibili”. Con lui abbiamo cercato di capire qual è il collo di bottiglia industriale più critico della filiera europea oggi, e quali condizioni minime — in termini di volumi, Capex, costi operativi e domanda garantita — servono per renderlo competitivo rispetto agli standard asiatici.
“I segmenti della filiera fotovoltaica in Europa che presentano i maggiori gap di capacità produttiva sono principalmente quelli iniziali e centrali della catena produttiva dei moduli: lingotti, wafer, celle e vetro di grado solare. Attualmente la capacità teorica produttiva totale europea si attesta abbondantemente sotto i 5 GWp annui, con un recente ridimensionamento e chiusura di impianti, invece che crescere”.
Rovera aggiunge che il segmento degli inverter è quello che gode di minori problematiche, “seppur la quota di mercato in Europa non riesca ad eccedere il 30% del volume totale. Se tutti gli stati membri si adeguassero ad NZIA si garantirebbe un volume di oltre 50 GW nei prossimi anni che sicuramente aiuterebbe a fare investimenti con una adeguata rassicurazione sulla domanda”.
Il portavoce di Italia Solare spiega che a livello di Capex esistono svariati programmi europei per supportare la creazione di nuove filiere, in Italia il programma è gestito da Invitalia, che ha ancora risorse disponibili. “Quello che manca è la certezza della rassicurazione sulla domanda per avviare degli investimenti che comunque richiedono una parte importante di capitale privato.
I sistemi di supporto italiani sono precursori di quasi la totalità degli altri stati membri, ci attendiamo che anche gli altri stati membri si adeguino dal prossimo anno per lo meno ai dettami NZIA”.
“L’italia è sempre stata fautrice di un sostegno all’industria manifatturiera fotovoltaica europea già dagli ultimi conti energia oltre 10 anni fa. Dispiace – prosegue Rovera – che sia sempre stato l’unico stato membro ad attuare tali politiche che sono poi andate a beneficio di un gran numero di stabilimenti produttivi nel continente senza che l’industria italiana abbia beneficiato di alcuna reciprocità da parte degli altri stati membri che invece hanno visto un beneficio per le loro industrie”.
Il pensiero dell’esperto, poi, cade sul concetto che una dipendenza crea sempre una forma di compensazione che si può quindi leggere come la creazione di una nuova dipendenza, “è però altresì necessario analizzare i numeri per non creare demagogie: limitare del 30% una dipendenza del 99%, a mio avviso, non si può definire creare una nuova dipendenza”.
Infine gli abbiamo chiesto quali strumenti Italia Solare ritiene necessari affinché il futuro FER X Definitivo possa dimostrare in modo trasparente e misurabile che i requisiti “Made in EU” riducono davvero la dipendenza senza crearne di nuove.
“Le metriche e gli indicatori esistono per ogni parzializzazione degli approvvigionamenti, già adesso sono disponibili tutte le certificazioni che possono essere utilizzate, basta creare un quadro logico. I requisiti NZIA, obbligatori dal 2026, sono per adesso stati già adottati solo in Italia. Ben vengano proposte per una successiva e rapida implementazione arrivando al ‘Made in EU’. E’ quantomeno particolare, a mio avviso, che tanti suggerimenti provengano da realtà che sono state escluse dall’accesso al programma di sostegno e che si sono disinteressate della implementazione della normativa a livello comunitario per anni.
Tra i produttori europei c’è la tedesca SMA. pv magazine Italia ha parlato con Hector Rodriguez, Photovoltaic Market Manager in SMA Italia.
“Gli obiettivi principali della NZIA sono garantire la sovranità industriale europea, ridurre la dipendenza da una singola fonte dominante e sostenere il rilancio dell’industria fotovoltaica europea, che ha perso quote di mercato significative. Con oltre l’80% del mercato fotovoltaico in mano a produttori non europei, permettere che stabilimenti situati in Europa ma controllati da soggetti extra‑UE rischierebbe di compromettere tali obiettivi”
Rodriguez precisa che quando si parla di “controllo da parte di Paesi non UE” occorre considerare sia la giurisdizione sia il potenziale controllo digitale a distanza; “entrambe le dimensioni incidono su resilienza e autonomia strategica. Per questi motivi, un requisito credibile di ‘Made in EU’ dovrebbe andare oltre la mera localizzazione geografica e tener conto di proprietà, governance e controllo operativo per preservare l’intento della NZIA.
Ammettere alle aste anche prodotti realizzati in fabbriche situate in Europa ma controllate da Paesi extra-Ue rappresenta un rischio competitivo o un’opportunità? La risposta del manager SMA è secca: “Principalmente è un rischio competitivo. Questa mossa non porterebbe a una vera diversificazione del mercato, ma rischierebbe di estendere la dipendenza dall’attuale base di fornitura esterna dominante. Questo indebolirebbe la capacità della NZIA di favorire una filiera europea resiliente, ridurrebbe la quota di capacità disponibile per i produttori europei che hanno investito in R&S e produzione locale e aumenterebbe l’esposizione a vulnerabilità geopolitiche e rischi di cybersicurezza. Eventuali benefici di prezzo a breve termine sarebbero superati dai costi strategici e di sicurezza nel lungo periodo.
Rodriguez dichiara che per favorire la creazione di una filiera europea “made in EU” del fotovoltaico, politiche e misure di mercato devono agire in sinergia. “La revisione delle regole di origine da parte della Commissione dovrebbe essere allineata ai criteri non‑prezzo della NZIA per creare un chiaro impulso di mercato verso la creazione di valore effettivamente europea. Occorre definire ed applicare quali fasi della catena del valore costituiscono passaggi produttivi significativi, ad esempio assemblaggio di celle e moduli, produzione di componenti critici, R&S e mantenimento della proprietà intellettuale, e richiederne l’implementazione nell’intero mercato Europeo”.
Il manager aggiunge che i criteri di appalto e delle aste devono includere metriche di resilienza, sicurezza e sostenibilità per favorire tecnologie Net-Zero sviluppate e prodotte in Europa. Infine, è necessario un rapido coordinamento tra Commissione e Stati membri per attivare fondi e misure nazionali che generino volumi certi, in contesti normativi e procedurali chiari ed efficienti.
“La creazione di una filiera ‘made in EU’ deve considerare aspetti strategici come la cybersicurezza e il rischio geopolitico: la dipendenza da fornitori extraeuropei espone l’Europa a vulnerabilità tecnologiche e potenziali interruzioni legate a tensioni internazionali. Garantire la sicurezza dei dati, delle infrastrutture digitali e dei processi produttivi è quindi cruciale per preservare la competitività e la sovranità industriale europea”, conclude Rodriguez.
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