Battery Playbook 2025: come usare i BESS per fare soldi (e sistema)

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Tutti parlano di batterie. Politici, utility, investitori: sembra la parola magica che risolve ogni problema della transizione. Ma la verità è che non tutte le applicazioni dei sistemi BESS (Battery Energy Storage Systems) stand-alone sono uguali. Alcune garantiscono ritorni solidi, altre si reggono solo su scenari ottimistici, altre ancora rischiano di trasformarsi in trappole.

Perché i BESS non sono scatole nere che accumulano energia e stampano ricavi. Sono strumenti complessi, a metà tra industria e finanza. Funzionano solo se il modello di business è chiaro e se chi li gestisce sa muoversi tra mercati, regole e volatilità.

C’è però un dato nuovo: il calo drastico dei costi di investimento ha abbassato le soglie di break-even. Significa che oggi più modelli diventano bancabili, e scenari fino a ieri borderline entrano finalmente nel radar degli investitori.

E allora, mettiamo ordine le varie opportunità che ci offre il mercato, e vediamo dove i BESS faranno davvero soldi.

1. MACSE & Capacity Market: i due pilastri della bancabilità (ma non sullo stesso MW)

Il debutto del MACSE è dietro l’angolo: settembre 2025, 10 GWh in gara, contratti fino a 15 anni, base d’asta 37.000 €/MWh. Per i BESS è la spina dorsale della bancabilità: cash flow stabile, rischio operativo presidiato, project finance che scorre.

Che cos’è, in concreto (chiaro e semplice):

  • Meccanismo amministrato. La capacità (non l’energia) viene approvvigionata da Terna tramite asta a ribasso: i proprietari dei BESS offrono disponibilità a un prezzo regolato; vince chi chiede meno.
  • Dopo l’asta. La capacità acquisita viene messa a disposizione sul mercato tramite GME, così da essere utilizzata per lo spostamento temporale dell’energia (arbitraggio) e per la stabilizzazione del sistema nei momenti critici.
  • Obblighi e disciplina. Prestazioni minime, finestra di consegna, penalità se non consegni, requisiti tecnici (durata, potenza, efficienza), monitoraggio puntuale.

Perché piace alle banche: flussi prevedibili (pagamento per disponibilità), controparti solide, rischi misurabili. Chi cerca stabilità lo adora. Chi punta a margini extra lo critica: il prezzo fissato limita l’upside.

La verità operativa: il MACSE è la base industriale su cui costruire capacità e filiera. E la formula vincente sarà il modello ibrido:

  • una quota di impianto vincolata al MACSE (copertura stabile dei costi, debito sereno),
  • una quota lasciata merchant per arbitraggio e servizi (TIDE a 15’, UVAM, MSD), dove si gioca l’extra-profitto.

Parallelamente, il Capacity Market (CM) resta il pilastro della sicurezza del sistema elettrico italiano. L’asta di febbraio 2025 per l’anno di consegna 2027 ha assegnato circa 38 GW di capacità esistente e quasi 600 MW di nuova capacità, di cui oltre il 90% BESS. Il prezzo di equilibrio si è attestato intorno a 47.000 €/MW/anno: non esplosivo, ma sufficiente a garantire stabilità ai progetti.

La prossima asta CM, relativa all’anno di consegna 2028, è attesa tra la fine del 2025 e l’inizio del 2026, dopo la prima asta MACSE di settembre.

MACSE e CM hanno ruoli diversi:

  • Per il sistema Paese sono complementari: il CM assicura capacità complessiva, il MACSE spinge sugli accumuli di lunga durata. Due strumenti che, messi insieme, rafforzano sicurezza e flessibilità della rete.
  • Per il singolo progetto sono alternativi: un BESS non può essere pagato due volte per la stessa capacità. In pratica: il sistema beneficia di entrambi, ma un singolo impianto deve scegliere la porta d’ingresso a cui bussare.

Per l’investitore questo significa valutare attentamente quale meccanismo offre la migliore combinazione tra stabilità e ritorno, e poi integrare il tutto con la quota merchant.

2. Revenue stacking: la moltiplicazione dei pani (e dei ricavi)

Una batteria non deve scegliere: può fare arbitraggio, fornire regolazione di frequenza, vendere capacità, coprire un PPA. La vera arte è fare tutto insieme, allocando dinamicamente potenza ed energia in finestre diverse della giornata (e dell’anno), rispettando vincoli tecnici e contrattuali.

E qui sta il punto: non è la lista dei servizi a creare valore; è come li combini nel tempo e nella potenza disponibile.

“I BESS producono molti benefici, ma serve saperli combinare insieme: non è una banale somma algebrica, potremmo definirla una somma vettoriale”.
— Prof. Delfanti, Politecnico di Milano

Tradotto in pratica: EMS evoluto, previsioni (prezzi, meteo, carichi), regole di priorità e sospensione dei servizi quando uno “mangia” margine all’altro. Senza questi mattoni, il “vettore” dei ricavi resta corto e mal orientato.

Il revenue stacking richiede algoritmi, telemetria affidabile, trading in quasi-tempo reale e una disciplina ferrea su SOC, degradazione e penalità. Con costi d’investimento in calo, diventa oggi la strategia più potente per estrarre valore da ogni ciclo.

Dentro lo stacking i tasselli più rilevanti oggi sono:

  • Arbitraggio energetico, il più “vecchia scuola”: comprare basso e vendere alto. Oggi resta volatile, ma in aree come Sicilia e Sardegna gli spread day-ahead superano ancora del 40% quelli del Nord. Integrato nello stacking, diventa di nuovo oro.
  • Servizi ancillari, l’invisibile che regge il sistema: regolazione di frequenza, riserva rapida. In Italia il TIDE remunera ancora poco e conta più la potenza che la capacità, ma come tassello di uno stacking ben orchestrato aggiungono stabilità ai ricavi.

Per l’investitore: rendimento potenzialmente molto alto, ma non per chi cerca comfort. Richiede struttura (team, EMS, risk management) e governance. È la via maestra per spingere gli IRR senza perdere il controllo del rischio.

3. Contratti di tolling: il PPA della flessibilità

Ancora poco diffusi in Italia, ma destinati a crescere. Il tolling funziona così: l’investitore mette la batteria a disposizione di un trader o di una utility, incassando un flusso fisso (o semi-fisso). Chi gestisce la batteria si prende il rischio di mercato e l’eventuale upside.

Per i fondi infrastrutturali questo modello è oro: trasferisce complessità operativa a chi sa fare trading. Il calo dei costi ha reso il margine più comodo: oggi c’è spazio per remunerare sia chi investe sia chi opera.

Il limite? In mercati iper-redditizi il proprietario vede solo il fisso. Il vantaggio? Non serve un desk di trading in casa.

Per l’investitore: contratto “di comfort”. Non massimizza i guadagni, ma riduce i rischi e comincia a piacere alle banche. Occhio a durata e prezzo.

4. PPA: stabilità condizionata

I Power Purchase Agreements danno visibilità e nei progetti ibridi FV+BESS hanno certamente senso. Ma non tutti i prezzi sono uguali: sotto i 65–75 €/MWh il progetto fatica a reggere; sopra gli 80–90 €/MWh entra in zona comfort.

Il rischio? Bloccare prezzi bassi e rinunciare all’upside. L’utilità? Stabilizzare i ricavi e facilitare il finanziamento.

Per l’investitore: bene come hedge parziale, non come unica gamba del tavolo.

Riassumendo

Chi pensa che il MACSE sia l’unica via per realizzare BESS stand-alone, non ha chiaro che siamo al primo scalino di una grande rivoluzione.

I BESS sono asset industriali e finanziari allo stesso tempo. Per funzionare servono:

  • strategia (la zona geografica fa la differenza),
  • intelligenza operativa (algoritmi, previsioni, trading),
  • coraggio imprenditoriale (accettare volatilità e rischio),
  • ingegneria commerciale (saper cucire insieme, in una strategia ben concepita, MACSE, CM, tolling, PPA, stacking).

L’Italia sta facendo la sua parte: MACSE, Capacity Market, TIDE, mercati a 15 minuti, spread zonali che aprono nuove opportunità. Per non parlare poi del FER Z, del quale approfondiremo le opportunità in un prossimo articolo dedicato.

Il campo è pronto. Ora servono giocatori veri. Non spettatori. Le batterie non sono un elettrodomestico. Sono infrastruttura, margine e futuro. Chi investe ora, guida. Chi aspetta, arriverà tardi: il tavolo sarà già apparecchiato.

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