pv magazine Italia ha parlato con Alessandra Scognamiglio, senior reseacher ENEA e presidente dell’Associazione italiana agrivoltaico sostenibile (AIAS) per capire il ruolo dell’agrivoltaico nel futuro. La ricercatrice chiede di meglio definire il concetto di agrivoltaico, specialmente dopo le decisioni annunciate ieri dal governo.
Il DL Agricoltura sembra lasciare aperta la porta per gli impianti agrivoltaici in terreno agricolo. Vuol dire che gli impianti utility scale saranno solo agrivoltaici dal 2024/2025 in poi?
Alessandra Scognamiglio (AS): Gli impianti agrivoltaici sono una soluzione che viene “accettata” perchè concepita a servizio o in combinazione con le attività agricole. Sono quindi legittimati non tanto e non solo dall’esistenza di aree agricole a disposizione, ma da una volontà di innovazione, di reale combinazione della produzione agricola e di quella elettrica. Perciò la disponibilità di un’area grande non necessariamente determina la realizzazione di un impianto utility scale se questo non è in qualche modo funzionale all’attività e agli interessi economici dell’azienda agricola che conduce quell’area. Quindi non si può di certo in automatico dire che dal 2024/2025 tutti gli impianti utility scale saranno agrivoltaici.
Certamente, se si osserva la tendenza delle richieste al momento in esame alla VIA nazionale, è un fatto che la gran parte di queste riguarda gli impianti agrivoltaici, proprio perchè l’agrivoltaico è stato inteso come un approccio che “legittima” la realizzazione degli impianti fotovoltaici in area agricola.
Tuttavia la discussione di questi giorni sottolinea come proprio questo sia il vulnus originario: non caratterizzare abbastanza l’agrivoltaico come una soluzione diversa dal fotovoltaico standard, proprio per la possibilità di integrazione e sinergia con l’agricoltura. Immagino che alla discussione di questi giorni seguiranno sviluppi normativi e definitori che andranno a meglio confinare il concetto stesso di agrivoltaico, pena una nuova scissione tra gli interessi dei due ministeri che sono intervenuti sull’argomento, uno a tutela dell’agricoltura, l’altro della transizione energetica.
Questo aumenta la pressione nei confronti delle normative legate all’agrivoltaico?
AS: Certamente si, perché ciò che non è stato finora chiaro dovrà essere meglio perimentrato dalla normativa, ma su questo tema lascio la risposta di AIAS a Celeste Mellone e Ivano Saltarelli, di Green Horse Legal Advisory, che in questi giorni hanno lavorato intensamente sul tema.
Celeste Mellone: in effetti, a livello normativo, se escludiamo la definizione contenuta nel Decreto Agrivoltaico finalizzata a disciplinare le modalità di accesso agli incentivi dedicati ad essi dedicati, non esiste una definizione di impianto agrivoltaico (cioè non PNRR). Le Linee Guida pubblicate nel giugno 2022 dall’allora MiTE introducono una possibilità di agrivoltaico non PNRR e infatti distinguono tra:
– impianti agrivoltaici standard (impianti che adottano soluzioni volte a preservare la continuità delle attività di coltivazione agricola e pastorale sul sito di installazione),
– impianti agrivoltaici avanzati (impianti che presentino moduli elevati da terra e rispettino il requisito del monitoraggio, in conformità a quanto stabilito dall’articolo 65, comma 1-quater e 1-quinquies, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, di cui le linee guida disciplinano gli aspetti pratici)
Esiste poi un tertium genus di impianto agrivoltaico, preso in considerazione dal legislatore nella disciplina delle procedure autorizzative semplificate e presente anche nella bozza di decreto aree idonee in itinere: parliamo degli impianti agrivoltaici che rispondono ai soli requisiti indicati dall’articolo 65, comma 1-quater (ma non anche il comma 1-quinquies) e cioè che presentino moduli elevati da terra.
Se proprio il divieto generalizzato riguarderà il fotovoltaico a terra in generale, sarà allora cruciale che in sede di conversione si definisca in modo inequivocabile quali siano le caratteristiche che un impianto agrivoltaico debba presentare affinchè possa essere installato su aree agricole senza scontare le limitazioni del decreto legge.
Secondo voi in generale, potrebbe l’agrivoltaico da solo rispondere a tutte le esigenze energetiche/elettriche italiane?
AS: Il potenziale tecnico dell’agrivoltaico in Italia, stimato in un rapporto recentemente pubblicato da AIAS-ENEA (Il potenziale agrivoltaico nazionale, Valutazione di indicatori, autori: Fattoruso G., Toscano D., Venturo A., ISBN 9791221051070), è molto alto.
In questo studio sono considerati indicatori che tengono conto dell’estensione delle aree agricole potenzialmente utilizzabili funzionali per aziende agricole di medio/grandi dimensioni, delle diverse classi del suolo agricolo, del risparmio della risorsa idrica e di suolo, e delle aree idonee come definite da normativa vigente. Criteri puramente geofisici, climatici, topografici e agricoli sono quindi stati adoperati per un’analisi preliminare su cui basare la progettazione ed un’analisi tecnico economica di dettaglio.
Per la valutazione del potenziale degli impianti utility scale, sono state prese in considerazione le aree potenzialmente adeguate aventi una superficie maggiore di 20ha, corrispondenti alle dimensioni di una media-grande azienda agricola italiana.
In quest’ottica la superficie complessiva utilizzabile a livello nazionale considerano le aree adeguate all’impiego delle tecnologie più diffuse (inseguimento) e cioè con pendenza inferiore al 3%, il potenziale nazionale è pari a circa 5236GW, considerando una densità di potenza di 1MW/2ha. Ora anche volendo prudenzialmente considerare solo una minima percentuale di questo potenziale tecnico come effettivamente disponibile per l’agrivoltaico, si intuisce come questo da solo possa essere sufficiente a soddisfare gli obiettivi energetici nazionali previsti per il fotovoltaico.
Per rispondere a se possa da solo soddisfare tutte le esigenze energetiche/elettriche italiane sono necessarie considerazioni più specifiche, legate a fattori altri di natura tecnica (e.g. distanza dalle linee di trasmissione, tipologia della rete elettrica, distanza dalla rete viaria, capacità delle cabine elettriche, etc.), economici (competizione con altre fonti energetiche, aree economicamente svantaggiate, etc.), sociopolitici (sensibilità ambientale locale, presenza di strumenti di incentivazione per l’adozione delle FER, presenza di leggi e regolamenti locali e nazionali), ma lo studio citato dimostra che il limite dell’agrivoltaico non è la disponibilità di aree che siano adeguate al suo sviluppo.
Ciò detto, i consumi elettrici in Italia per il 2023 sono stati di 306.1TWh (dati Terna). Se assumiamo che 1 GW di agrivoltaico produca circa 1MWh/anno (1000 ore solari equivalenti), occorrerebbe istallare circa 306 GW, lo 0,06% del potenziale tecnico dell’agrivoltaico nazionale così come stimato da AIAS-ENEA, per soddisfare i consumi elettrici nazionali. Questa è naturalmente una valutazione approssimativa, poiché il calcolo andrebbe fatto sulla domanda a livello territoriale ed oraria e andrebbero previsti sistemi di accumulo che soddisfino il carico istante per istante.
Quali sono gli sviluppi più interessanti per quanto riguarda l’agrivoltaico in Italia negli ultimi mesi?
AS:Dal mio punto di vista, la cosa più interessante è che finalmente sta emergendo una dimensione “credibile” dell’agrivoltaico. Proprio la discussione a tratti aspra emersa negli ultimi giorni evidenzia con chiarezza che il “no” non è all’agrivoltaico che è una soluzione che mette d’accordo mondi diversi, se ben pensata e realizzata, ma è a quelle soluzioni che ripropongono tecnologie note chiamandole con altri nomi e che creano difficoltà nei decisori se non proprio ostilità.
Il Decreto Agrivoltaico di febbraio 2024 da questo punto di vista chiarisce l’ambito di una prima applicazione dell’agrivoltaico, per il quale il paese ha puntato sull’innovazione, allineandosi anche a quanto avviene in generale nel contesto europeo. Questo può fare da apripista anche a nuove soluzioni che emergeranno a mano a mano che le esperienze in campo si consolideranno. L’auspicio è che saranno disponibili più soluzioni, caratterizzate da una grado maggiore o minore di integrazione con l’agricoltura, praticate attraverso configurazioni spaziali e tecnologiche diverse, che potranno assicurare un livello di prestazione adeguato agli obiettivi funzionali che il progetto si prefigge di raggiungere. I requisiti specifici saranno diversi, e ad essi corrisponderanno prestazioni diverse che dovranno essere pensate e valutate caso per caso. A guidare la scelta dovranno essere le esigenze specifiche del progetto, che non possono essere identificate se non a partire da una seria analisi delle caratteristiche dei terreni individuati come adeguati, e delle esigenze legate alla conduzione agricola dell’area, o al recupero della funzione agricola stessa.
In pratica, è finalmente (speriamo) arrivato il momento in cui si potrà uscire da un dualismo sterile del sì o del no all’agrivoltaico, e si potrà entrare nel merito del “come” di ogni soluzione tecnologica, nel rispetto delle caratteristiche specifiche dei progetti e dei contesti in cui essi vengono realizzati.
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