Le batterie al sodio e quelle al potassio potrebbero rientrare in un mix tecnologico, dominato dal litio per la mobilità, ma con una serie di diverse tecnologie in campo stazionario. Lo dice Silvia Bodoardo, professoressa ordinaria del Politecnico di Torino, ricordando che la batteria ottimale dipende da una serie di fattori, come per esempio le temperature d’uso e eventuali rischi sismici, che inevitabilmente diminuirebbero l’uso di batterie al flusso, oggi principalmente al vanadio.
“Non credo che ci sarà la standardizzazione nel pacco batterie perché il grande vantaggio delle batterie è proprio la possibilità di costruirle su misura, per ciascun tipo di applicazione: si può andare a ottimizzare tutto che non è solo la batteria, ma anche l’intero sistema”, ha detto Bodoardo a pv magazine Italia.
Il progetto del Politecnico di Torino sulle batterie a ioni potassio, iniziato a novembre, ha una durata di 5 anni. Le prime gigafactory potrebbero essere costruire verso il 2030.
“Questo se andiamo abbastanza veloce. Abbiamo dei risultati anche piuttosto interessanti”, ha detto Bodoardo, sottolineando però che l’industrializzazione e i risultati di laboratorio sono processi concettualmente piuttosto diversi.
Il gruppo di elettrochimica del Politecnico di Torino ha “saltato” le batterie al sodio per focalizzarsi sulle batterie al potassio, ma sta utilizzando know how accumulato negli ultimi due decenni, soprattutto sul litio.
“Il meccanismo di funzionamento non è tanto diverso da quello delle batterie agli ioni di litio, ma lo ione potassio è un ione, diciamo, molto più grosso e quindi molto più difficile da far muovere”, ha detto Bodoardo, sottolineando il potenziale ruolo delle batterie al potassio nel mondo dello stoccaggio stazionario, non in quello della mobilità.
Bodoardo sottolinea poi che lo studio degli elettroliti è necessario per l’ottimizzazione delle batterie, lato durata, specificatamente lato cicli di vita. Bodoardo ricorda poi che questo discorso è particolarmente importante per le batterie di tipo stazionario.
Le batterie al potassio, data la minore densità volumica del potassio, sarebbero più grandi di quelle al litio, richiedendo circa il 30% di spazio in più.
Nel progetto, il Politecnico di Torino sta cercando poi di sviluppare tecnologie di origine naturale, per esempio carboni di origine naturale e non grafite che è “un materiale critico”.
“Se io parto con una nuova tecnologia e utilizzo elementi o tecnologie non critiche di per sé, sono sulla buona strada. La cosa veramente difficile è di non utilizzare i solventi fluorurati per la loro stabilità”, ha detto Bodoardo.
Il Politecnico di Torino coordina il progetto europeo Gigagreen per la produzione di celle, essendo l’unica università in Italia che ha una linea produttiva pilota. Bodoardo sottolinea che la fase di produzione deve anche essere il meno energy intensive possibile.
Batterie al sodio
“Le celle a base di ioni sodio sono già commerciali, e per queste è anche stata presentata una specifica roadmap. È una tecnologia che oggi costa più del 25% in più rispetto alle tecnologie litio ione, perché in questo momento non è stato ancora reggiunto l’effetto di scala”, ha detto Bodoardo, aggiungendo però che “è estremamente probabile che le batterie al sodio costeranno di meno, vista la disponibilità del sodio. Simile il discorso per le batterie al potassio.
Non sono ancora presenti serie storiche per permettere alle assicurazioni di valutare la durata delle batterie al sodio, perché comunque le prime batterie al sodio commerciali sono di questi anni, ma Bodoardo ricorda come la durata reale delle batterie al litio sia spesso maggiore di quella che era attesa.
“Bisogna dire che in generale la vita media della batteria non viene solo testata, ma viene anche modellizzata, cioè, conoscendo tutti i parametri, si calcola la durata, l’aspettativa di vita della batteria stessa.”, ha detto Bodoardo.
Le assicurazioni assicurano la batteria al litio per 7/8 anni. “In realtà, dopo 10 anni molte batterie sono ancora al di sopra dell’80% dello stato di carica che è quello che viene considerato come livello accettabile.”
Nuove frontiere
Il Politecnico di Torino, spiega la docente, ha una grossa expertise sul litio a tutti i livelli, sia sul lato celle di laboratorio che sul lato produttivo, per la produzione dell’intero pacco batterie.
“Questo know-how ci ha permesso di andare ad aggredire anche tecnologie che sono molto lontane, anche per esempio litio ossigeno, piuttosto che litio zolfo che hanno densità di energia che sono 5-10 volte quella teorica del litio ione”, ha detto la professoressa, sottolineando però che rimangono problemi sulla chimica di base.
Il Politecnico di Torino, che ha tre dottorandi pagati da Stellantis, collabora con diversi soggetti energetici e industriali, tra cui Edison e Enel X.
“Tutte le tecnologie che non usano i metalli come litio o zolfo, metallo-aria e così via, sono tutte generazione 5. Si tratta di tecnologia che forse sarà commerciare fra 5 e 10 anni. Tutto lo stato solido oggi è ricco di attenzione e di progetti di ricerca basate sul litio, e che promettono elevata sicurezza e performance”.
“Alcune fasi della produzione delle celle litio ione viene fatta dentro dry room, quindi grosse camere completamente secche. Questo in quanto è necessario usare solventi non acquosi. La sfida è quella di utilizzare una produzione piu’ possibile che evita solventi organici in modo da ridurre gli impatti ambientali e ridurre l’energia complessiva utilizzata nella produzione. Questa è una sfida da un punto di vista ingegneristico molto importante”.
La docente dice che la comunità scientifica sta chiedendo alle autorità europee di spingere sì per nuove chimiche, ma per quelle che utilizzano tecnologie di produzione oggi implementate nelle aziende in fase di crescita.
“Si rischia di fare un grande sforzo per arrivare a una gigafactory per poi portare l’attenzione su altre tecnologie non compatibili. Così non arriveremmo mai alla produzione di batterie su larga scala con buone tecnologie in Europa”.
Produzione in Europa e ricerca in Italia
“In Europa si è partiti cercando di implementare circa 38 gigafactory nel giro di pochi anni. Poi il tutto si è un po’ ridimensionato; tuttavia, la produzione di celle sta continuando a crescere in Europa. Non con la curva rapida che era prevista, ma sta continuando a crescere. Ci sono già diverse aziende che producono celle in Europa installate e anche in Italia c’è una mega factory che produce celle: FAAM è una società nel casertano che sta costruendo la gigafactory per la produzione di celle per applicazioni stazionarie”
Eni e Seri Industrial hanno infatti definito un accordo per il potenziale sviluppo della filiera industriale delle batterie elettrochimiche al litio-ferro-fosfato. L’intesa, come recita il comunicato stampa pubblicato a ottobre 2024, “esplora la possibilità di costituire una società compartecipata per realizzare nel sito Eni di Brindisi un impianto di produzione accumuli di energia elettrica di tipo stazionario, una linea di produzione di materia attiva, input del processo produttivo, e di riciclo delle batterie, che affiancherà un impianto analogo in corso di realizzazione da FIB, società controllata da SERI Industrial, nella provincia di Caserta”.
Bodoardo sottolinea l’opportunità, che sembra comunque svanita, di un impianto di produzione di batterie di Stellantis a Termoli.
“Non è ancora chiuso il progetto di Termoli, in realtà”, dice la professoressa, ricordando anche il ruolo dei prezzi dell’energia nella decisione di Stellantis di eventualmente preferire l’avvio di processi produttivi in Spagna.
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