Il costo di non centrare gli obiettivi climatici al 2050 è circa €2300 a persona fino a metà secolo, spiega il rapporto “Quanto costa restare fermi? I Costi del Non Fare le rinnovabili” redatto di recente dall’Osservatorio Rinnovabili di Agici.
“A livello complessivo si tratta di 90 euro ad abitante annualmente, per una famiglia di tre persone quindi 270 euro, ovvero quanto una famiglia di tre persone paga mediamente in quattro mesi”, ha detto Marco Carta, amministratore delegato di Agici, a pv magazine Italia.
I risparmi persi per la mancata riduzione del prezzo dell’energia variano in funzione della zona di mercato: 0,3 miliardi di euro in Calabria, 0,4 miliardi in Sardegna, 3 miliardi di euro al Centro-nord, 3 miliardi al Sud, 3 miliardi in Sicilia, 4,5 miliardi al Centro-sud, 20 miliardi di euro al Nord.
I costi del non fare sono ugualmente variegati, ma questa volta aumentano scendendo al Sud, soprattutto considerando i costi pro-capite: 1.169 euro ad abitante nel Nord, 1.763 euro nel Centro-sud, 2.374 nel Centro-nord per poi salire vertiginosamente a 4.102 in Sicilia, 4.109 in Calabria, 5.768 in Sardegna e 6.991 euro nel Sud.

Carta, secondo cui l’Italia aggiungerà nel 2025 meno capacità rinnovabile che nel 2024 (da 7,5 GW a 6,2 GW tra eolico e fotovoltaico, con il fotovoltaico sopra i 5 GW), sottolinea poi i costi non meramente economici: i mancati investimenti in rinnovabili lasciano il sistema Italia esposto alla dipendenza dall’estero e alla volatilità dei prezzi.
“La stabilità delle quotazioni sono importantissime sia per i cittadini, ma ancor di più per le imprese: avere un input, un costo di produzione fisso e prevedibile è un grande vantaggio competitivo per il sistema”, ha detto Carta.
L’amministratore delegato di Agici sottolinea il ritardo occorso nella comprensione dell’andamento del mercato elettrico da parte del tessuto industriale, ma aggiunge che ormai, in media, le imprese sono ben consapevoli delle ripercussioni economiche positive degli investimenti in rinnovabili.
“Vedo gli imprenditori, anche gli energivori: sono ben consapevoli del vantaggio competitivo delle rinnovabili”, ha detto Carta.
Secondo Carta, il ritardo e le resistenze hanno anche a che fare con dinamiche politiche.
“C’è un tema politico cavalcato da forze di variegata natura e vede una posizione forte basata su motivi pretestuosi. Purtroppo noi abbiamo visto nel corso degli anni come il “no” abbia sempre una grande attrattiva, cioè porta comunque uno zoccolo di persone a seguirti e oltretutto non è impegnativo perché non devi fare niente mentre invece il “sì” è molto impegnativo. Vedo questo tema politico e vedo un tema culturale generale. Questo secondo me è il problema”.
Secondo Carta, data la separazione tra mercato elettrico e mercato oil&gas, almeno in Italia, l’aumento dell’occupazione nel settore elettrico non comporterebbe una diminuzione dei posti di lavoro nel mercato oil&gas.
“Sono due mondi in questo momento ancora abbastanza distinti. Sarebbero un po’ più vicini se parlassimo di un’elettrificazione spinta dei consumi che in in questo momento non c’è”.
Carta sottolinea poi che le ripercussioni positive a livello occupazionale sono più chiare in aree meno sviluppate economiche e più svantaggiate.
“Le rinnovabili si fanno nelle aree interne, collinari, dove c’è spazio, dove spesso la popolazione va via perché non ci sono opportunità. Le rinnovabili rappresentano un’opportunità. Magari non è l’opportunità che fermerà tutto lo spopolamento, ma un pezzettino sì. Oltretutto sono, in parte, lavori a valore a valore aggiunto, cioè richiedono competenze tecniche importanti”.

Secondo Agici, la perdita di occupazione è particolarmente grave nelle isole (oltre 120.000 posti di lavoro). Considerando le zone di mercato, si tratta di 76.512 posti persi al Nord, 23.680 al Centro-nord, 54.008 al Centro-sud, 72.952 al Sud, 21.079 in Calabria, 66.079 in Sicilia e 60,189 in Sardegna.
Carta, dopo aver dichiarato che il termine “compensazioni ambientali” non è corretto, in quanto gli investimenti nelle rinnovabili non causano un danno ambientale, sottolinea poi diverse pratiche di condivisione del valore, sia materiali che immateriali. Sottolinea poi un altro trend: la creazione di comunità energetiche rinnovabili (CER) a vantaggio della popolazione locale.
Agici ha preso lo scenario del PNIEC 2024, confrontandolo con uno scenario inerziale, uno scenario business-as-usual dove le installazioni proseguono con il ritmo storico e quindi insufficiente a raggiungere gli obiettivi. Agici ha calcolato il ritmo storico facendo una media del periodo 2019-2024.
Lo scenario PNIEC 2024, invece, prevede lo sviluppo di capacità FER fino a 122 GW al 2030, con una crescita del 9% in media all’anno dal 2025 al 2030.
Il calcolo dei costi non include i danni causati dai cambiamenti climatici perché, spiega Carta, i cambiamenti climatici sono frutto, in primis, di dinamiche e decisioni globali. Gli investimenti in rinnovabili, quindi, non permettono direttamente di diminuire l’esposizione ai rischi posti dai cambiamenti climatici.
“Questo perché, nel nostro caso, la prospettiva è italiana”, ha detto Carta, confermando comunque che i danni dei cambiamenti climatici sono da aggiungersi a quelli legati all’aumento dei prezzi dell’energia e delle emissioni di CO2, alla dipendenza da fonti fossili importate, alla mancata creazione di nuovi posti di lavoro e alla perdita di opportunità nei settori innovativi.
* Riscrive secondo paragrafo, titolo
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