Consigliere regionale Veneto: comuni dovrebbero darsi dei target, chiedere compensazioni

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pv magazine Italia ha avuto il piacere di parlare con Arturo Lorenzoni, professore associato presso il Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università di Padova e consigliere regionale della Regione Veneto. Lorenzoni spiega il ruolo dei comuni per l’installazione degli impianti fotovoltaici, alle possibili aree (tetti, parcheggi e cimiteri)

Quale il ruolo dei comuni nell’installazione dei pannelli fotovoltaici?

I comuni sono centrali nel processo di transizione verso un’energia decarbonizzata. Infatti, gli impianti di piccola taglia, capaci di produrre energia senza processi di combustione, e dunque senza incidere sul processo in atto di cambiamento climatico, sono autorizzati proprio dai Comuni. Un atteggiamento proattivo da parte delle amministrazioni locali è dunque la chiave per coinvolgere i territori e far si che i nuovi investimenti siano sentiti propri dalle persone, con imprese e cittadini protagonisti. Ciò significa sia interloquire in modo costruttivo con chi investe, sia procedere direttamente con investimenti da parte dell’amministrazione stessa. Infatti, se un’amministrazione investe su un impianto fotovoltaico, l’energia viene a costare circa 12 centesimi/kWh; se acquista da MEPA oggi paga circa 16 centesimi. Fa forse danno erariale acquistando invece di produrla? Infine, un Comune può facilitare la realizzazione delle Comunità Energetiche, che consentono di autoconsumare, e dunque valorizzare al meglio, una quota maggiore della produzione fotovoltaica.

Secondo quali aree sono adatte alle installazioni su suolo pubblico? Per esempio i parcheggi dei cimiteri? Perché

Un’amministrazione dovrebbe darsi dei target di produzione fotovoltaica, nel suo interesse. Se si pensa all’obiettivo nazionale di nuova potenza rinnovabile al 2030 del decreto aree idonee, 80 GW incrementali, si richiede un investimento di circa 1,3 kW per abitante. Tale target può avere senso anche su scala comunale, per coinvolgere i sindaci e i territori, con un processo di opportunity sharing. Naturalmente i tetti sono le prime superfici a cui un Comune deve guardare per raggiungere il suo obiettivo di produzione FV, ma si deve guardare laicamente anche all’installazione a terra, a cominciare dai parcheggi e le altre aree urbanizzate. Ogni Comune ad esempio ha un cimitero, a fianco del quale vi è un parcheggio. Suggerire ai sindaci di valutare il parcheggio collocato nella fascia di rispetto cimiteriale come sede di un impianto significa dare un’opportunità a tutti i comuni.

Quale la potenziale capacità di un impianto in un cimitero di piccole dimensioni?

Un parcheggio cimiteriale, anche in un piccolo comune, generalmente supera i 1200 mq; con un coefficiente di occupazione un po’ inferiore al 50% vi stanno 120 kW di FV, che producono almeno 150 MWh, il consumo di 50 famiglie, o di una piccola amministrazione. E non è necessario che un Comune si indebiti per fare un impianto. È sufficiente strutturare un bando da un lato per dare in comodato l’area su cui realizzare l’impianto, dall’altro per ritirare l’intera energia prodotta, basando la gara sul prezzo dell’energia ceduta. Perché non farne una buona pratica da condividere su ognuno dei 7900 comuni italiani?

Potrebbe essere usato per una CER per esempio?

Certamente, una CER o una delle altre modalità di autoconsumo diffuso che consentono di valorizzare al meglio la produzione FV e di spingere per rendere i consumi più capaci di adeguarsi alla produzione. I margini per rendere la domanda di energia elastica e coordinata con la produzione FV sono molto grandi, si pensi solo alle pompe di calore che possono accumulare energia sotto forma termica negli edifici, in ogni stagione.

In generale come può il cittadino trarre vantaggio dalle installazioni su suolo pubblico?

Il processo di transizione deve essere sentito come prioritario da tutti, per cui vedere che la propria amministrazione agisce su questo fronte dovrebbe inorgoglire ogni cittadino attento al bene comune. Ma l’amministrazione può dare in comodato, anche gratuito, delle superfici, a cominciare proprio dai parcheggi, perché i cittadini vi realizzino il proprio impianto comunitario, accedendo a prezzi competitivi dell’energia.

Secondo lei i comuni hanno competenze sufficienti per capire vantaggi e svantaggi degli impianti fotovoltaici?

Moltissimi comuni non hanno la struttura per gestire un bando o fare valutazioni di investimento, è vero, ma possono agire insieme. Meglio ancora secondo me se le regioni mettono a disposizione un ufficio per gestire la realizzazione di impianti FV e la gestione della contrattualistica energetica. Con pochi giovani motivati si può cambiare profondamente la storia energetica di un territorio.

Ma i comuni, al momento, riescono per esempio a chiedere misure di compensazione adeguate? Nel caso contrario, potrebbe l’Anci lavorare a un protocollo per definire misure di compensazione minime per gli impianti utility scale che insistono sul terreno comunale?

Certamente si: è un’asimmetria di informazioni e competenze tra gli investitori in grandi impianti e l’amministrazione pubblica, che può essere colmata almeno in parte su scala regionale. Un impegno in questo senso da parte di ANCI è assolutamente desiderabile, non solo per ottenere compensazioni adeguate, ma anche per gestire in modo coerente con le norme e rapido il procedimento autorizzativo. Oggi si vedono interlocuzioni da parte di tecnici comunali che non hanno alcuna aderenza alle norme vigenti ed il costo sociale di tale mancanza di conoscenza è altissimo.

Altre considerazioni?

Sì, torno sul tema che la amministrazione oggi non ha motivo per non dotarsi di tutta la potenza fotovoltaica possibile. Si pensi agli ospedali, che hanno parcheggi enormi e un consumo quasi identico tutto l’anno, come non usare quegli spazi per prodursi l’energia (e tenere le auto all’ombra). E quando si muove l’amministrazione pubblica si ha anche un processo di legittimazione della tecnologia che incoraggia i privati con un effetto leva determinante. Se la transizione energetica 10 anni fa rappresentava un onere, oggi è un’opportunità per risparmiare, per cui non vi sono proprio motivi per non procedere celermente. Il costo del non fare, in termini di maggiori costi in bolletta e maggiori costi ambientali, è salato.

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