L’Europa compra fossili USA, ma poteva costruire 700 GW di fotovoltaico

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Trump stringe la mano a von der Leyen in Scozia. Titoli entusiasti, strette di mano, promesse di “sicurezza energetica”. Il cuore dell’accordo? L’Europa si impegna ad acquistare 250 miliardi di dollari l’anno in petrolio, gas, carbone e nucleare statunitensi. Per tre anni. Totale: 750 miliardi di dollari. Un assegno firmato con l’inchiostro del passato.

Ora facciamo un salto mentale. Cosa avremmo potuto fare con quei 750 miliardi se li avessimo investiti in fotovoltaico? A un prezzo medio di 10 centesimi di euro per watt, ci portavamo a casa oltre 6.800 GWp di moduli. Sì, hai letto bene: sei virgola otto terawatt. Una potenza pari a quattro volte l’intera capacità fotovoltaica globale esistente. Se consideriamo impianti completi a 1.000 euro per kilowatt (1.100 dollari), avremmo potuto installare 682 GW chiavi in mano, pronti a produrre energia per i prossimi 25 anni. Non sicurezza energetica, ma vera autonomia.

Nel 2024 l’UE ha importato dagli Stati Uniti circa 573 milioni di barili di petrolio (974 TWh), 35 milioni di tonnellate di GNL (473 TWh) e 13 milioni di tonnellate di carbone (84 TWh), per un totale di circa 1.530 TWh di energia primaria. Una dipendenza annuale, che va rinnovata ogni anno, a caro prezzo. Con 682 GW di fotovoltaico, invece, avremmo prodotto 1.000.000 GWh all’anno. In vent’anni, 20 milioni di GWh puliti, locali, rinnovabili. L’equivalente di oltre 13 volte l’energia fossile importata oggi dagli USA.

E poi ci sono i posti di lavoro. Ogni megawatt fotovoltaico genera tra i 4 e i 6 posti tra diretti e indiretti. Con 682.000 MW, avremmo creato oltre 3 milioni di occupazioni qualificate, distribuite sul territorio europeo. Ingegneri, installatori, progettisti, imprese locali. Energia che dà lavoro, non dividendi a ExxonMobil.

Infine, l’ambiente. Ogni MWh prodotto da fonte fossile emette in media 500 kg di CO2. In 20 anni, gli impianti fotovoltaici costruiti con quei 750 miliardi avrebbero evitato l’emissione di 10 miliardi di tonnellate di CO2. Dieci miliardi. Numeri che dovrebbero stare sulle scrivanie dei ministri, non nei cassetti dei consulenti.

Ma invece l’Europa ha scelto altro. Ha scelto di finanziare i pozzi texani, di sottomettersi al gas a stelle e strisce, di barattare dazi con dipendenza. E lasciatemelo dire: sono profondamente arrabbiato. Perché invece di avere una visione chiara, autonoma e orientata al futuro, abbiamo scelto ancora una volta di piegarci. Di cedere al ricatto geopolitico, di rinunciare alla nostra potenza industriale, di restare un continente a rimorchio degli interessi americani.

Non è solo una questione di energia. È una questione di identità, di credibilità, di ambizione. Siamo un continente che parla di transizione energetica e Green Deal, ma che nel momento decisivo preferisce firmare un assegno da 750 miliardi per restare agganciato al passato. Siamo il mercato che sostiene l’industria fossile USA, mentre potremmo essere la culla dell’innovazione industriale pulita mondiale. Siamo ancora in tempo per cambiare rotta, ma ogni anno che passa ci costa di più.

Ma siamo davvero sicuri che questo sacrificio basterà a placare la voracità della politica americana? Non credo proprio. Gli interessi statunitensi non si fermano con una concessione: ne chiederanno un’altra, poi un’altra ancora. E noi continueremo a inseguire, a pagare, a dipendere. Ogni mossa di debolezza apre la porta a una nuova pressione, ogni rinuncia strategica compromette il futuro. E il futuro, questo futuro, non lo possiamo più regalare.

Forse servirebbe un cambio di leadership. Una classe dirigente che metta davvero al centro gli interessi dell’Europa, con una visione politica e industriale degna di questo nome. Una persona come Draghi? Forse sì. Ma non solo. Servono competenza, coraggio, autonomia di pensiero. Serve gente che dica con forza: basta sottomissioni, basta illusioni fossili. Serve qualcuno che veda la transizione non come un vincolo, ma come la più grande occasione di rilancio industriale ed energetico che l’Europa abbia mai avuto.

Quello che è certo è che piegarsi e continuare a non avere una visione concreta del futuro, della politica industriale e del nostro destino economico, non gioverà né all’Europa né all’Italia. Con quei 750 miliardi, avremmo potuto ridisegnare il nostro sistema energetico, spezzare i legami con le fonti fossili, rilanciare l’economia industriale green, restituire respiro al pianeta e costruire una nuova Europa. Avremmo potuto dimostrare al mondo che un’altra strada è possibile. E che a guidarla poteva, finalmente, essere proprio l’Europa.

Una scelta sbagliata si può correggere. Ma serve visione, leadership e soprattutto la volontà di smettere di pensare come vassalli e iniziare a comportarsi da protagonisti. Perché non abbiamo bisogno del gas di Trump. Abbiamo bisogno di sole, acciaio, cavi e cervelli. In Europa. Ora.

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