Aree idonee Sardegna, la Consulta dichiara incostituzionale parte della legge

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Con la sentenza numero 184/2025, depositata oggi, la Corte Costituzionale ha in parte accolto e in parte dichiarato inammissibile il ricorso del governo contro la legge sarda sulle aree idonee.

La Consulta, nel relativo comunicato, spiega che ha ribadito come “la qualifica di non idoneità di un’area non può tradursi in un aprioristico divieto di installazione degli impianti FER, che ha l’effetto di determinare l’impossibilità di accedere ai procedimenti autorizzatori semplificati previsti dal legislatore statale per velocizzare la diffusione delle fonti rinnovabili nelle aree idonee”.

Il giudice delle leggi ha inoltre affermato che la legge regionale non può travolgere gli atti autorizzativi già rilasciati “senza che tale travolgimento sia motivato da ragioni di carattere tecnico o scientifico, perché ciò si traduce in un irragionevole limite al legittimo affidamento che lede il principio della certezza del diritto”.

Quando un progetto ricade in parte nelle aree idonee e in parte nelle aree non idonee, “non può automaticamente prevalere la non idoneità, come invece stabilisce la legge sarda”. La decisione definitiva in merito alla realizzazione degli impianti FER, in questo caso, “va assunta all’esito del singolo procedimento di autorizzazione concernente lo specifico progetto di impianto, nel quale «dovranno tenersi in debita considerazione le esigenze di massima tutela del paesaggio e delle aree naturalistiche protette che giustifichino il procedimento autorizzatorio non semplificato», bilanciando la protezione della natura e la tutela dell’ambiente mediante la riduzione delle fonti di energia inquinanti, anche nell’interesse delle future generazioni”, specifica la Corte.

Relativamente alle disposizioni regionali che introducono “asserite misure di semplificazione e accelerazione per la promozione di impianti FER nelle aree non idonee”, la Consulta ha affermato che la Regione “non può prevedere una procedura per l’autorizzazione paesaggistica diversa da quella dettata dalla legislazione statale, perché non è consentito alle regioni introdurre deroghe agli istituti statali di protezione ambientale che dettano una disciplina uniforme su tutto il territorio nazionale”.

A inizio ottobre, Corte aveva dichiarato inammissibili gli interventi degli operatori di settore che erano intervenuti nel giudizio. Come enunciato in quella sede da Giovanni Amoroso, presidente della Corte Costituzionale, “il giudizio in via principale si svolge esclusivamente tra soggetti titolari di potestà legislativa e non ammette l’intervento di soggetti che ne siano privi”. Pertanto, sono per natura inammissibili gli interventi in giudizio delle società private.

Il fine degli interventi era, verosimilmente, fornire il contributo degli operatori nell’ambito del giudizio in Corte, con la consapevolezza di risultare inammissibili. L’esito di rilievo per il settore è stato ora dato dalla sentenza sul ricorso.

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