Perchè no Agrivoltaico? L’intervista a Coldiretti Torino

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Fin dagli albori dell’agrivoltaico, Coldiretti – la principale Organizzazione degli imprenditori agricoli in Italia e in Europa – ha espresso parere contrario all’occupazione del suolo per l’installazione di impianti. Negli ultimi anni il suo dissenso è cresciuto sempre più, mentre aumenta l’attenzione riservata al Bonus agrivoltaico. Questo a seguito dell’uscita del Decreto del ministero dell’Ambiente che fissa le condizioni per costruire impianti sperimentali per la produzione di energia elettrica.

Di recente, Coldiretti Torino ha pubblicamente manifestato il suo timore parlando di “un vero e proprio assalto che potrebbe portare in futuro alla perdita di oltre 9.000 quintali di chicchi di mais 5.000 quintali di grano e fieno”.

Ad oggi risultano una decina i progetti proposti ai comuni, concentrati tra pinerolese e canavese, per un totale di circa 800.000 quadrati di campi.

pv magazine Italia ha voluto dare voce a Coldiretti Torino e ha intervistato il presidente Bruno Mecca Cici.

pv magazine: Perché no a priori al FV su terreni agricoli? Non sarebbe meglio avere un approccio caso per caso, ad esempio su terreni ufficialmente ad uso agricolo che non hanno più alta redditività agricola?

L’agricoltura sta cambiando. I valori delle produzioni agricole non solo più gli stessi di un tempo per via di mercati che sono globalizzati, per effetto della richiesta di nuovi alimenti e per effetto stesso del cambiamento climatico. Un campo produttivo solo per colture poco redditizie, oggi può ospitare serre sostenibili con produzioni ad altissimo valore aggiunto come particolari orticole o frutticole, oppure come vegetali ricercati dalla nutraceutica o dall’industria. Una superficie agricola non è più solo un campo, magari pietroso e non irrigato, è uno spazio dove si coltivano fuori suolo, in colture computerizzate, essenze per l’industria profumiera, fiori eduli e germogli per l’alta cucina, funghi ad alto valore nutrizionale, primizie a chilometro zero. Tutto questo certamente dovrebbe essere alimentato con un fotovoltaico che sfrutti gli spazi già compromessi e senza perdere preziose superfici che sono anche in questo caso “agricole”.

Il fotovoltaico sui tetti dei capannoni agricoli rischia di avere volumi limitati. Non tutti i capannoni hanno le caratteristiche di statica per sostenere il peso dei pannelli e non tutti i capannoni hanno il giusto orientamento…

Non si tratta di piazzare i pannelli su tettoie sbilenche, ma di utilizzare i tetti a norma di abitazioni rurali, stalle, fienili, pagliai, ricoveri per i mezzi. Ma tra le superfici già “consumate” non ci sono soltanto i tetti. Ci sono piazzali di servizio, tettoie per parcheggi. Recentemente, nel corso di un convegno organizzato da Coldiretti Torino dal titolo “Le stalle illuminano le città” è stato dimostrato che, al netto delle esposizioni e delle eventuali inefficienze, nella sola provincia di Torino, il semplice contributo fotovoltaico delle superfici delle aree già consumate afferenti ai soli allevamenti zootecnici sarebbe sufficiente a servire 50.000 famiglie allacciate alla rete. Ma il vero problema sono i limiti di potenza e producibilità che scoraggiano gli investimenti delle aziende agricole. Dopo la prima incoraggiante stagione del primo fotovoltaico sui tetti, oggi assistiamo a una delusione e a un freno degli investimenti.

L’agrivoltaico si combina all’attività agricola e in molti casi contribuisce addirittura a migliorarla. Gli studi in questo senso sono innumerevoli…

Gli studi, comprese le Linee Guida del Ministero, sono pieni di raccomandazioni per non perdere le peculiarità agricole. La verità è che si cerca di dare una qualunque impronta agricola soltanto per giustificare l’impianto sugli unici terreni oggi facilmente acquisibili, cioè quelli agricoli. Su un terreno industriale è difficile intervenire perché i valori sono più alti e perché possono esserci difficoltà a trattare con le società proprietarie o addirittura c’è bisogno di bonificare. I terreni agricoli si prendono con poco sforzo e spesso non c’è nemmeno bisogno di acquistarli: si inseriscono nel business aziende agricole che faranno finta di coltivare, ma che saranno attratte solo dalla ripartizione degli utili dalla vendita dell’energia e non dal valore delle produzioni agricole che certamente non sarebbero le stesse a parità di superficie.

L’agrivoltaico ha avuto velocemente un effetto sui prezzi degli affitti dei terreni agricoli. Voi avete delle stime in merito?

In queste settimane molti proprietari di terreni agricoli del Torinese stanno ricevendo offerte di acquisto da parte di rappresentanti di aziende energetiche o di intermediari che propongono prezzi completamente fuori mercato pur di accaparrarsi gli spazi agricoli necessari per realizzare gli impianti fotovoltaici. Dal normale prezzo di 1,50-2 euro al mq per il terreno agricolo, gli acquirenti per parchi fotovoltaici arrivano a offrire anche 5 o addirittura 7 euro a mq.

Ci sono strumenti per evitare questi rialzi?

Sono dinamiche di mercato non legate a cambi di destinazione d’uso dei terreni. Le aree rimangono agricole, ma i terreni vengono acquistati per realizzare campi fotovoltaici e, pur di mandare in porto gli investimenti in imprese energetiche, si pagano i terreni 5-6 volte il loro valore. Stiamo assistendo alla stessa corsa negli anni dei grandi centri commerciali fuori porta, solo che lì era più difficile: i Comuni dovevano modificare la destinazione d’uso. L’unico strumento è vietare sui terreni agricoli ogni altro investimento che non sia davvero agricolo.

L’agrivoltaico sta diventando un fenomeno internazionale, con le prime sperimentazioni in Germania, con i primi progetti in Giappone, i più grandi in Cina. Quale è il ruolo dell’Italia?

Dopo il vertiginoso aumento delle materie prime alimentari e con la nostra storica posizione debole rispetto alla grande speculazione mondiale sui prodotti agricoli in Italia ci stiamo finalmente accorgendo dell’importanza strategica di produrre cibo in casa nostra. Negli anni passati abbiamo consumato troppo suolo agricolo in favore di grandi centri commerciali o insediamenti produttivi mai decollati. Ora dobbiamo capire che la terra è preziosa soprattutto per un Paese che ha nel Made in Italy agroalimentare il settore trainante del suo export e che è conosciuto anche in Giappone e Cina per le sue eccellenze nel cibo.

 Ci sono applicazioni virtuose di agrivoltaico, come ad esempio in Spagna dove arnie digitalizzate tra le file di pannelli fotovoltaici monitorano quantità e qualità di miele prodotto e l’attività degli insetti e in Grecia dove l’impianto fotovoltaico e le attività di apicoltura coesistono in modo proficuo. Volete segnalare in Italia qualche caso che invece avete trovato virtuoso?

Per giustificare la “parte agricola” spesso, semplicemente, si seminano misticanze di erbe che vengono falciate una o due volte l’anno e per questo vengono giustificate come coltivazioni foraggere. Oppure si mettono 2-3 arnie nel recinto dell’impianto e si fanno passare come “apicoltura”. Gli apicoltori veri conoscono gli effetti dei campi elettromagnetici sulle api e non hanno bisogno di campi fotovoltaici ma di ambienti agronaturali sani come quelli che i nostri agricoltori si sforzano di realizzare ogni anno di più, come richiede l’Unione Europea. Il fotovoltaico va incrementato, ma utilizziamo i tetti delle città, i tetti delle aziende, i piazzali asfaltati, le aree industriali dismesse. Non poniamo limiti al fotovoltaico delle aziende agricole, ma senza occupare nuovo suolo agricolo.

Bruno Mecca Cici, presidente Coldiretti Torino

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