Fotovoltaico di nuova generazione per lo spazio, la voce dell’Università La Sapienza di Roma

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Continua la prima edizione in presenza della conferenza PVSPACE-23 che ha lo scopo di gettare luce sull’avanzamento, lo stato dell’arte e la roadmap futura del fotovoltaico di nuova generazione e sulle applicazioni nello spazio. Tra le parole più pronunciate c’è “perovskite” poichè l’attenzione è sempre più veicolata in questa direzione.

Tra gli organizzatori della conferenza c’è il Prof. Luigi Schirone. Intervistato da pv magazine ha parlato del primo feedback relativo all’evento che ha radunato i massimi esperti di tecnologie fotovoltaiche e applicazioni spaziali provenienti da tutto il mondo.

pv magazine: Erano presenti tra le agenzie spaziali più importanti al mondo. Qual è la loro posizione?
Il Dr. Carsten Baur della European Space Agency (ESA) ha sottolineato quali sono i requisiti che devono avere le celle solari per essere prese in considerazione e certamente occorrono test che solitamente non si fanno. Ecco, bisogna esser disposti a seguire determinate linee guide e qualificare le celle per lo spazio. La dottoressa Lyndsey McMillon-Brown della NASA ha orientato il suo intervento sua una “visione”, ma facendo sapere che l’agenzia sta lavorando seriamente anche in direzione perovskite, ma ancora non sono stati attivati grossi investimenti.

Qual è la visione più futuristica emersa?
Si tratta della prospettiva di cui ha parlato la dottoressa della Nasa, quindi fabbricare celle solari direttamente nello spazio, funzionale a missioni molto distanti dalla terra. Si andrebbe ad utilizzare, per esempio, suolo lunare terrestre e quindi mettere a punto prodotti in atmosfera inerte poichè nello spazio sarebbero già nel vuoto.

 Invece l’approccio più concreto?
Finora tutti producono celle di dimensioni molto piccole, mentre la produzione di celle dalla dimensione maggiore, anche di 2 pollici, e in modo ripetibile potrebbe, potrebbe fare la differenza. L’incremento di superficie di una cella è una challenge di ripetitività e qualità dei processi produttivi che va al di là delle competenze del ricercatore medio. Quest’ultimo sviluppa una tecnologia, ma poi renderla ripetibile è un lavoro industriale, con tutta un’altra serie di competenze.

Oltre alla dimensione cosa altro occorre migliorare?
Come ha spiegato nel suo intervento il Prof. Joseph M. Luther del National Renewable Energy Laboratory (NREL) del Colorado, occorre aumentare la stabilità delle celle solari perovskite. Si tratta della direzione che tutti noi dovremmo prendere per realizzare celle solari che lavorano nello spazio. Inoltre, occorre abbattere il limite della durabilità, la condicio sine qua non per le applicazioni sia aerospaziali che terrestri

Quale nuova consapevolezza nasce casa post-conferenza?
Basterebbe che almeno parte dei partecipanti a questa conferenza tornassero a casa con la consapevolezza che occorre sviluppare celle pensate per lo spazio, native per questa applicazione e non utilizzare celle terrestri, poi lanciate nello spazio.

È già avvenuta l’applicazione celle in perovskite nello spazio?
Lo ha rivelato il Dr. Romain Cariou di CEA-LITEN – Solar Technology Department che a seguito di studi sugli effetti dei protoni è stato possibile far volare la prima cella perovskite su palloni aerostatici. Nel caso specifico, però il satellite non si è acceso.

Infine, quali sono le ultime iniziative dell’Università in merito alle applicazioni aerospaziali?
Intanto, la realizzazione di questo convengo è un primo passo. Stiamo pensando di realizzare una linea produzione di celle solari dedicata presso i laboratori gestiti da me e dalla dottoressa Narges Yaghoobi NiaNarges.

Prof. Giovanni Palmerini, preside Scuola Ingegneria Aerospaziale di Roma

“È stato molto interessante aver raggruppato speaker di importanti agenzie spaziali come Nasa ed Esa, che hanno messo in luce le difficoltà che ci attendono per le applicazioni pratiche di questa tecnologia. La Nasa sembra essere molto più aperta alla parte di spin-off e a collaborare con piccole industrie, mentre l’Esa ha fatto emergere un’idea un po’ più conservativa. A mio parere, in una visione da da qui a 10 anni le celle perovskite nello spazio possono essere utilizzate, magari attraverso un nuovo “Elon Musk” che scommette su una tecnologia portando avanti un’attività sperimentale limitata, come è già un po’ successo con la Tesla”.

[caption id="attachment_3227" align="aligncenter" width="225"] Dott. Giovanni Palmerini[/caption]

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