pv magazine Italia ha intervistato Nicolò Rossetto, research fellow presso Florence School of Regulation, per capire le conseguenze delle elezioni europee sulle politiche energia e clima. Rossetto spiega che è improbabile un cambiamento radicale delle politiche, mentre è possibile immaginare che l’UE potrebbe aumentare il proprio contributo per il raggiungimento degli obiettivi al 2030. Secondo Rossetto il governo italiano potrà influenzare le decisioni del Consiglio, ma solo in collaborazione con altri paesi dell’UE. L’esperto del Green Deal europeo risponde poi ad alcune domande delicate su possibili sviluppi politici in Europa.
pv magazine: Secondo un’analisi di IPSOS, il voto europeo sembra essere dominato da tre elementi forti: scarsa partecipazione, rinascita del bipolarismo e ‘terze forze’. Parlando della scarsa partecipazione, secondo lei questo dipende anche da una mancanza di interesse da parte della popolazione nei confronti di temi energetici e climatici?
Nicolò Rossetto: Non sono sicuro che la scarsa partecipazione degli italiani alla tornata elettorale sia dipesa da una mancanza di interesse nei confronti dei temi energetici e climatici. Al contrario, la mia percezione è che sia stata l’offerta politica a parlare poco e spesso male di questi e di altri temi importanti per le elezioni europee, disincentivando così la partecipazione degli italiani al voto. A mio avviso gli italiani ritengono le questioni energetiche e climatiche importanti, soprattutto perché incidono concretamente sulle loro vite, in termini di bollette, valore degli immobili, scelte di mobilità, qualità della vita, etc.
Secondo lei le elezioni avranno delle conseguenze sulle politiche energetiche e climatiche europee? Alcuni esperti per esempio suggeriscono che i cambiamenti saranno limitati, anche se cambierà sostanzialmente il marketing politico. È d’accordo?
Le elezioni europee hanno ritoccato la composizione del Parlamento Europeo, dando maggiore peso al partito popolare e ai partiti di destra. Al contrario, verdi e liberali hanno perso un numero significativo di rappresentanti, mentre i socialisti e la sinistra hanno limitato i danni. Questi cambiamenti non sembrano essere tali da cambiare la maggioranza di riferimento nel Parlamento, che dovrebbe ancora essere incentrata su PPE, S&D e Renew. Tuttavia, all’interno di questa maggioranza, i popolari hanno un peso maggiore che in passato. Inoltre, non escluderei la possibilità che su alcuni dossier si possano formare maggioranze alternative, magari più spostate a destra. Concretamente, per quanto riguarda il Parlamento, che è solo uno dei 2 co-legislatori europei, è probabile che non si verifichi un cambiamento radicale delle politiche climatiche ed energetiche. Al tempo stesso, è verosimile che ci sia una maggiore attenzione ai costi che queste politiche hanno per l’industria e le famiglie e che quindi si riduca in qualche misura l’ambizione nel definire i nuovi obiettivi al 2040, in particolare per quanto attiene certi settori che tradizionalmente rappresentano un importante bacino elettorale per i partiti di centro-destra. Potrebbe inoltre succedere, ma è difficile esserne certi, che dinnanzi a difficoltà nel conseguire gli obiettivi al 2030, il Parlamento appoggi misure che prevedano un maggiore contributo della UE e riduzione dell’onere di tali politiche a carico delle famiglie e degli Stati membri.
A quanto pare il gruppo di Fratelli d’Italia non riceverà alcuna carica e poltrona importante. Questo potrebbe voler implicare un’opposizione italiana al Consiglio, che potrebbe volendo anche rallentare eventuali sviluppi normativi?
Anticipare le dinamiche all’interno del Consiglio è sempre molto difficile dato che su molti temi le scelte vengono prese a maggioranza qualificata e dato che si mescolano due variabili: il collocamento dei rispettivi governi all’interno delle varie famiglie politiche europee e l’esistenza di specifici interessi nazionali che talvolta sono in grado di sparigliare le carte. L’Italia ha certamente un peso importante all’interno del Consiglio, ma se non è in grado di coinvolgere governi di altri paesi di rilievo come Germania, Francia o Spagna, dubito possa ottenere un peso sufficiente per rallentare eventuali sviluppi normativi che vadano in una direzione non gradita.
Nonostante la crescita della destra estrema in alcune geografie, soprattutto nei Paesi con alti prezzi dell’energia, in Scandinavia la situazione è totalmente diversa. È possibile ipotizzare che la crescita dell’estrema destra abbia a che fare soprattutto con fenomeni inflazionistici (e quindi anche aumenti dei prezzi dell’energia)?
Nel XX secolo, i partiti di destra in Europa sono spesso cresciuti in un contesto di alta inflazione e profondi cambiamenti nella struttura socio-economica, come successo, ad esempio, al termine della Prima Guerra Mondiale. I partiti di destra o di estrema destra tipicamente richiamano l’importanza delle comunità locali, della famiglia tradizionale, della piccola impresa, del lavoro autonomo ed esprimono la volontà di difenderli da cambiamenti che hanno origine esterna e che tali comunità, famiglie, imprese e lavoratori si ritiene fatichino a gestire. Si tratta, in altre parole, di formazioni politiche che spesso, benché non sempre, si propongono di difendere un assetto “tradizionale”, che viene ritenuto in pericolo.
Indubbiamente gli aumenti dei prezzi dell’energia registrati negli ultimi anni, che danneggiano i percettori di redditi fissi e le piccole aziende, possono aver aumentato il sostegno ai partiti di destra o di estrema destra, i quali si sono scagliati spesso sia contro le grandi aziende energetiche colpevoli di fare extra-profitti che contro le scelte pubbliche di combattere il cambiamento climatico o di sostenere la resistenza ucraina contro l’invasione russa, rovesciandone i costi sui “piccoli”.
Questo vuol dire che, considerando l’Italia e la sua dipendenza dal gas, possibili picchi dei prezzi del gas potrebbero giocare a favore del governo attuale?
Un’impennata del prezzo del gas sicuramente danneggerebbe le famiglie e le imprese italiane, che sono esposte più di altre in Europa all’andamento del mercato del gas.
Tuttavia, vale la pena evidenziare che in politica non esistono gli automatismi. L’impatto politico di un certo evento dipende da come viene percepito, da come viene inserito in una narrazione più ampia. E da che risorse si possono e vogliono impiegare per rispondere a quell’evento.
In Italia esistono ora margini di finanza pubblica alquanto ristretti per gestire un’eventuale impennata dei prezzi del gas.
L’Italia riceverà una serie di fondi europei per investimenti entro il 2027. Potrebbero essere rivisti per dare meno spazio alle politiche climatiche?
Il PNRR prevede significativi investimenti legati alla transizione energetica e alle politiche climatiche. Cambiare nuovamente la sua articolazione a due anni dalla sua naturale scadenza mi sembra difficile. Servirebbero infatti mesi per negoziare i cambiamenti. E a quel punto rimarrebbe poco tempo per fare qualcosa di diverso dall’elargire bonus e scontri vari agli operatori privati.
In conclusione, quale secondo lei la coalizione più probabile alla base della prossima Commissione? Sembra che i verdi siano i favoriti per unirsi a PPE, S&D e Renew, giusto?
Difficile dirlo. Conoscere lo stato reale dei negoziati è arduo. Ammetto che i messaggi elettorali del PPE e dei verdi mi sono spesso sembrati poco conciliabili. E ripeto, è sempre possibile che su specifici file si formino alleanze diverse da quella di riferimento che si formerà nei prossimi mesi per la conferma della nuova Commissione europea.
Secondo lei ci potrebbero essere difficoltà in Parlamento? Immagino per esempio che il Consiglio confermi von der Leyen. La legislatura precedente il Parlamento ha votato a favore, ma per poco…
Di nuovo, è difficile dirlo. La politica è spesso imprevedibile. Molto dipenderà dai negoziati e dagli accordi incrociati. Osservo solamente due cose. Primo, la von der Leyen è stata il candidato del partito che ha preso più voti, il PPE. Secondo, già in passato si è andati sull’”usato sicuro”, vedi il caso Barroso 15 anni fa.
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