Re Rebaudengo: incentivi all’agrivoltaico necessari per la bancabilità

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In questa seconda parte dell’intervista con Agostino Re Rebaudengo, Presidente Elettricità Futura, pv magazine chiede l’opinione dell’associazione di categoria sull’agrivoltaico. A che punto siamo? Dove stiamo andando? Di che modifiche abbiamo bisogno?

pv magazine: Un altro tema importante nel fotovoltaico al momento è chiaramente l’agrivoltaico. Potete sintetizzare la vostra posizione?

Agostino Re Rebaudengo: Secondo Elettricità Futura, l’agrivoltaico rappresenta una soluzione progettuale che valorizza la sinergia tra la produzione energetica ed agricola. La regolazione sull’agrivoltaico è ancora frammentata e poco chiara, viene definito o richiamato in numerose disposizioni emanate da diversi livelli di governance (diverse leggi nazionali e regionali, alcune già pubblicate altre in corso di emanazione), e in normative tecniche (GSE, CEI, UNI). Queste varie disposizioni non sono sempre coordinate tra loro e pongono diversi dubbi di natura interpretativa, causando ritardi negli iter autorizzativi il cui esito, troppo spesso, dipende dall’orientamento dall’Ente chiamato ad esprimersi.

Ci sono modi per sveltire il tutto? 

Per superare queste criticità e sviluppare efficacemente l’agrivoltaico, riteniamo sia indispensabile considerare alcuni aspetti. Occorre promuovere il ruolo degli operatori energetici nello sviluppo e nella gestione dei sistemi agrivoltaici, due attività che richiedono un elevato know-how tecnico inerente sia alla tecnologia e alla progettazione impiantistica, sia alla produzione e gestione dell’energia elettrica.  Inoltre, gli operatori energetici hanno la capacità economico-finanziaria necessaria ad avviare gli importanti investimenti che richiede l’agrivoltaico, una tecnologia capital intensive come tutti i progetti rinnovabili.

Molte disposizioni invece – tra queste il decreto incentivi PNRR appena approvato e di cui si attende il testo finale – prevedono che siano titolati all’installazione degli impianti esclusivamente imprenditori agricoli o società a partecipazione congiunta con i produttori di energia elettrica alle quali è conferita l’azienda o il ramo di azienda da parte degli stessi imprenditori agricoli ai quali è riservata l’attività di gestione imprenditoriale. Questo approccio può essere comprensibile per le misure del PNRR che prevedono contributi statali volti a migliorare la sostenibilità del settore agricolo, ma non è un approccio che si può applicare a iniziative di libero mercato.

Altri aspetti da considerare in questo segmento?

Un ulteriore aspetto di grande rilievo è quello dei criteri per qualificare gli impianti agrivoltaici. La regolazione dell’agrivoltaico dovrebbe richiamare parametri chiari, flessibili e non predeterminati rigidamente, per tenere conto del carattere sperimentale della tecnologia. Dovrebbero essere promosse soluzioni che diano la possibilità di coltivare e allevare non solo tra le fila dei moduli ma anche al di sotto di essi, soprattutto nel caso di moduli fotovoltaici montati su sistemi ad inseguimento del sole, senza eccessivi vincoli predeterminati ad esempio sulle altezze dei moduli dal suolo. Il quadro normativo che si sta consolidando – ad esempio con la disciplina delle aree idonee – sembra promuovere pressoché unicamente il cosiddetto agrivoltaico elevato (secondo le Linee Guida ministeriali quello con moduli ad altezza superiore ai 2,10m).

Quali i rischi secondo voi?

La realizzazione di soli impianti di questa tipologia avrebbe forti impatti sia di natura economica, che visiva (si tratta di strutture il cui punto più basso è superiore ai 2 m e che nel complesso raggiungono diversi metri di altezza dal suolo), che ambientale/di sicurezza (la stabilità della struttura poggiata su terreno agricolo richiederà fondazioni/basamenti potenzialmente più impattanti delle strutture di un comune impianto fotovoltaico). Peraltro, a fronte di questi potenziali impatti non è affatto garantito un miglior connubio agricoltura-energia, poiché non sempre la tipologia di coltura sottostante rende necessario utilizzare impianti di quelle altezze.

Bisognerebbe invece integrare il requisito di altezza minima con criteri alternativi maggiormente idonei a certificare l’effettivo utilizzo del suolo ai fini agricoli. Ad esempio l‘asseverazione del piano agronomico da parte di un tecnico qualificato. Allo stesso modo, occorrerebbe evitare l’introduzione di parametri ex-ante sulla resa agricola, parametro sul quale sussistono ad oggi elementi di incertezza sulle modalità di calcolo e monitoraggio e che risulta estremamente influenzabile da variabili esogene al sistema agrivoltaico (es. siccità, eventi calamitosi, etc.).

Quali le forme di supporto necessarie a promuovere?

In questa fase sperimentale, la tecnologia agrivoltaica sarebbe necessario dedicare contingenti adeguati prevedendo eventuali distinzioni tra quello elevato da terra e le altre configurazioni.

Per il primo, più costoso, sembra essere in dirittura d’arrivo il Decreto, dopo il recente via libera dell’Europa. Questo schema prevede sia un contributo in conto capitale (che utilizza risorse del PNRR) nella misura massima del 40% dei costi ammissibili; sia una tariffa incentivante applicata alla produzione di energia elettrica netta immessa in rete. I soggetti beneficiari sono solo imprenditori agricoli o associazioni temporanee di imprese che includano imprenditori agricoli.

Secondo Elettricità Futura, è importante prevedere uno schema di sostegno, pur con livelli di incentivazione inferiori (senza ad esempio l’accesso ai contributi PNRR) anche per gli impianti agrivoltaici che non ricadano nei requisiti delle Linee Guida, o che non siano realizzati da imprenditori agricoli, proprio per garantire che gli schemi di sostegno raggiungano l’obiettivo per cui sono concepiti.

Gli incentivi infatti servono a stabilizzare i ricavi degli impianti e rendere bancabili i progetti e dovrebbero essere accessibili – pur con le dovute differenziazioni – a tutti i progetti agrivoltaici e a quelli fotovoltaici tradizionali in agricoltura. Se così non fosse, sarebbe davvero difficile sviluppare gli impianti fotovoltaici che servono all’Italia per raggiungere il target del Piano elettrico 2030 e aumentare l’indipendenza e la sicurezza energetica.

Che rapporti avete con associazioni come Coldiretti e Confagricoltura? Secondo voi è possibile evitare un braccio di ferro che implicherebbe in generale ulteriori ritardi?

Con le Associazioni che rappresentano il settore agricolo, più specificatamente con Coldiretti e Confagricoltura, abbiamo un rapporto costruttivo e un dialogo aperto.  Certo le posizioni del mondo agricolo e quelle del comparto energetico sono a volte diverse, ma per entrambi i settori è fondamentale trovare punti comuni che permettano al nostro Paese di cogliere le potenzialità del binomio agricoltura-energia.

Qua la prima parte dell’intervista.

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