Rapporto Draghi, variabilità dei prezzi e dipendenza dal gas minano la competitività UE

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L’Unione europea soffre di un grave divario rispetto ai suoi partner commerciali in termini di competitività dei livelli dei prezzi dell’energia. Anche la volatilità dei prezzi è un fattore significativo, che ostacola le industrie ad alta intensità energetica e l’intera economia. Lo dice il rapporto a firma Mario Draghi pubblicato ieri dalla Commissione europea, sottolineando che l’Europa deve risolvere la sua dipendenza dal gas, a meno che non sia pronta a una de-industrializzazione.

“I prezzi al dettaglio e all’ingrosso del gas sono attualmente da tre a cinque volte superiori a quelli degli Stati Uniti, mentre storicamente i prezzi nell’UE sono stati da due a tre volte superiori a quelli degli Stati Uniti. I prezzi al dettaglio dell’elettricità – in particolare quelli per i settori industriali – sono attualmente da due a tre volte quelli degli Stati Uniti e della Cina. Storicamente, i prezzi al dettaglio dell’elettricità nell’UE sono stati fino all’80% più alti di quelli degli Stati Uniti, mentre si sono mossi intorno allo stesso livello della Cina”, si legge nel rapporto sull’UE, che sottolinea poi come i prezzi varino notevolmente tra gli Stati membri.

Questi rischi “esistenziali” sono particolarmente rilevanti per il sistema Italia, il Paese con i prezzi più alti dell’energia e il terzo nel 2021 per dipendenza dal gas. Il gas rappresenta il 32% dei consumi finali di energia del Bel Paese.

I primi due Paesi per gas negli impieghi finali sono Paesi Bassi (40,1%) e Ungheria (32,6%). Si ricordi però che i Paesi Bassi sono stati per lungo periodo il maggior produttore di gas del blocco. Lo sono ancora nel 2023, come confermato dai dati Statista, nonostante la chiusura del giacimento di Groningen. Si ricordi poi che la classe dirigente ungherese ha un rapporto privilegiato con la Russia di Vladimir Putin, tanto che la presidenza di turno del Consiglio UE è stata boicottata dalle istituzioni europee proprio per questo motivo (le riunioni dei ministri europei sono diventate per lo più riunioni informali in cui non si possono prendere delle decisioni).

Draghi ha poi sottolineato che i prezzi elevati dell’energia hanno un impatto sugli investimenti complessivi, che si ripercuotono progressivamente sull’intera economia. Nel 2023, circa il 60% delle aziende europee ha dichiarato che i prezzi dell’energia rappresentano un ostacolo importante per gli investimenti, oltre 20 punti percentuali in più rispetto alle aziende statunitensi. I prezzi più alti nel periodo 2021-2023 hanno avuto anche un impatto importante sul benessere e sui bilanci pubblici.

Spesa UE per combustibili fossili

Come riportato dal rapporto, secondo l’Agenzia internazionale per l’energia (AIE), la spesa dell’UE per l’importazione di combustibili fossili è in aumento da 341 miliardi di euro nel 2019 a 416 miliardi di euro nel 2023 (circa il 2,7% del PIL).

“Questi fondi potrebbero essere utilizzati meglio dall’UE per investire in infrastrutture, innovazione, istruzione e altri settori, che sono essenziali per le economie sviluppate per mantenere il loro vantaggio competitivo nei mercati globali. Nel 2023, i pagamenti totali dell’UE per l’importazione di combustibili fossili (carbone, gas e petrolio) ammonteranno a 390 miliardi di euro. Si tratta di un aumento del 90% rispetto alla media storica 2017 2021, dovuto principalmente all’aumento dei prezzi, dato che i volumi sono aumentati in media solo del 7%. I pagamenti dell’UE per i combustibili fossili norvegesi hanno superato i 50 miliardi di euro sia nel 2022 che nel 2023, circa tre volte di più rispetto alla media 2017-2021, principalmente a causa dell’aumento dei prezzi, dato che i volumi sono aumentati solo di due terzi. I pagamenti dell’UE per i combustibili fossili russi sono quasi raddoppiati nel 2022 rispetto ai livelli precedenti, raggiungendo oltre 120 miliardi di euro, prima di ridursi a meno di 30 miliardi di euro nel 2023 (con un calo del 60% rispetto alla media 2017-2021) a seguito di sforzi di diversificazione senza precedenti”, si legge nel rapporto di Draghi.

La mancanza di competitività potrebbe anche minare l’esistenza stessa dell’UE.

Il rapporto aggiunge che l’UE è il maggiore importatore mondiale di gas e di gas naturale liquefatto (GNL), ma il suo potenziale potere contrattuale collettivo non è sufficientemente sfruttato. Riporta anche che i contratti di gas a lungo termine in corso nell’UE nel 2022 rappresentavano l’82% delle sue importazioni totali di gas (rispetto al 91% del 2019). Tuttavia, se si considerano i contratti di GNL a lungo termine, la quota (delle importazioni totali di GNL) raggiunge solo il 60%. “Il passaggio ai mercati globali del GNL è necessario per ridurre questa dipendenza, ma rischia di rendere l’UE soggetta alla volatilità dei mercati globali del GNL”. Anche la formazione del prezzo del gas è un problema, rileva Draghi.

Il caso Italia

Se, dunque, la competitività europea dipende dalle scelte per diminuire i prezzi dell’energia nei prossimi mesi e anni, l’Italia rappresenterebbe un caso esemplare di quanto detto da Draghi.

Le politiche energetiche di Roma nei prossimi 5 anni permetteranno o meno la sopravvivenza stessa del tessuto industriale italiano. Se le discussioni sul nucleare hanno forse senso nel lungo periodo, certamente non lo hanno nel breve e medio, quindi non rientrano in questo discorso sulla sopravvivenza del tessuto industriale italiano. La dipendenza del gas rimane un problema, soprattutto nel caso di ulteriori scossoni geopolitici che potrebbero aumentare ulteriormente i livelli e la variabilità dei prezzi.

Gli ultimi sviluppi normativi sulle rinnovabili risultano quindi particolarmente pericolosi, perché limitano ulteriormente gli spazi di manovra del sistema Paese, obbligando l’Italia a essere la nazione meno competitiva nell’UE, ovvero il paese meno competitivo in una delle regioni meno competitive al mondo. I vantaggi accumulati in alcuni settori rispetto ai concorrenti e partner commerciali possono quindi evaporare, esacerbendo ulteriormente le complessità demografiche, sociali ed economiche della nona economia al mondo.

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