Energia e clima: Bilancio 2023 e previsionale 2024

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Saper infondere umorismo in una minaccia globale è un’abilità non comune, specialmente quando ci si
aspetta serietà da organizzazioni come le Nazioni Unite. Tuttavia, il Programma ONU per l’Ambiente (UNEP) ha sorpreso con un recente rapporto che, nonostante la sua immagine seria, ha adottato un tocco di spirito.

Il titolo “Broken Record” ha utilizzato un gioco di parole riuscito per rilanciare l’allarme climatico al
COP28 di Dubai, riferendosi non solo al record di aumento senza precedenti delle temperature e delle
emissioni di CO2, ma anche al significato di “disco rotto”, cioè il ripetere sempre la stessa cosa! Nella sostanza questo rapporto ha detto che gli attuali impegni dei governi nazionali rendono utopico raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi, in particolare il contenimento dell’aumento delle temperature entro un grado e mezzo. Le stime realistiche indicano infatti un aumento previsto della temperatura tra 2,5 e 2,9 gradi entro la fine del secolo, con conseguenze catastrofiche, e che per affrontare questa sfida vi è la necessità di trasformazioni globali a basse emissioni di carbonio, con tagli alle emissioni di gas serra del 28% entro il 2030 per il percorso di contenimento a 2°C, e del 42% se si mira a non superare il grado e mezzo di temperatura. Difficile? Diffficilisssimo!!!

Stati Uniti, Cina ed Unione Europea sono le principali aree che contribuiscono al riscaldamento globale, e far digerire la questione in questi Paesi colpevoli, appare più che ostico, come a tutti visibile.

Il settore energetico, che è collegato a oltre 6 milioni di morti premature l’anno, e che ha grandissimi interessi in gioco, è la principale causa del riscaldamento globale, anche se gli investimenti in energia pulita sono aumentati del 40% dal 2020. Se parliamo di mobilità, ad esempio nel 2020 una su 25 auto vendute era elettrica, mentre nel 2023 le auto elettriche sono diventate una su 5. Lato produzione di energia, nel solo 2023 a livello globale si è aggiunta una capacità da FER di ben 500 gigawatt, la più alta della storia, e sebbene anche nel 2024 sia prevista una installazione ancora maggiore, la strada per limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C, come indicato nella Roadmap Zero Emissioni, rimane ancora difficoltosa, anche se comunque possibile.

La Cina come sappiamo è chiave in questo panorama geopolitico e tecnologico, e se da un lato gioca un ruolo
significativo nel plasmare le tendenze globali lato tecnologia, dall’altro a causa di rallentamento economico (forse strutturale… ed è per questo che purtroppo ultimamente ha ricominciato a parlare di Taiwan…), potrebbe ridurre in modo rilevante il proprio impatto climatico.

Quel che è certo però è che l’Unione Europea e gli Stati Uniti stanno attivamente cercando di competere con la Cina nelle catene globali di approvvigionamento delle energie rinnovabili attraverso diverse politiche. Tuttavia, la supremazia cinese in questo settore rimane estremamente difficile da contrastare. Nonostante gli sforzi occidentali per potenziare la capacità produttiva e garantire un approvvigionamento affidabile ed economico di tecnologie green, gli analisti di Rystad Energy stimano che l’impatto significativo di tali iniziative potrebbe non verificarsi prima del prossimo decennio, anche con un potenziale costo fino a 700 miliardi di dollari, che sembrano (e sono) molti, ma che debbono per forza considerare che nel solo 2023 la Cina ha investito nel settore green la bellezza di 130 miliardi, contro i 20 investiti dal combinato di tutte le altre nazioni. Altra cosa poi da tenere conto, è che gli sforzi occidentali per costruire catene di approvvigionamento verdi potrebbero essere rallentati ulteriormente dalla vasta quantità di brevetti detenuti dalle aziende cinesi per lo sviluppo di nuove tecnologie (a causa della nostra errata politica industriale degli ultimi almeno 10 anni). Insomma… anche qui strada in salita, salita ripida.

Per competere con la Cina lato produzione, ad esempio è stato instituito recentemente il “Fondo nazionale del made in Italy,” come previsto dalla legge 206/2023 intitolata “Disposizioni organiche per la valorizzazione, la promozione e la tutela del made in Italy,” e pubblicata sulla Gazzetta ufficiale n. 300 del 27 dicembre, che ha come obiettivo principale sostenere le filiere industriali nazionali coinvolte nell’approvvigionamento e nel riciclo di materie prime “critiche,” fondamentali per la transizione verso le energie pulite. L’articolo chiave di questa legge, il numero 4, prevede la creazione di un fondo con una disponibilità iniziale di 700 milioni per il 2023 e 300 milioni per il 2024. Questo fondo è progettato per sostenere la crescita, il sostegno, il rafforzamento e il rilancio delle filiere strategiche nazionali, con particolare attenzione alle attività di approvvigionamento, riciclo e riuso di materie prime critiche. Da notare anche che l’Unione europea ha recentemente dedicato attenzione alle materie prime critiche attraverso il Critical Raw Materials Act, approvato a metà dicembre, che mira a rendere gli Stati membri più autonomi nelle attività di estrazione, trattamento e riciclo di materiali essenziali come litio, cobalto, nichel e terre rare, ampiamente utilizzati nei settori delle tecnologie pulite come l’energia eolica, solare e le batterie dei veicoli elettrici.

Meglio tardi che mai si dice… come in questo caso… sperando si creino filiere robuste e competitive, in
grado poi di reggere la agguerrita competizione del mercato

E sotto l’albero di Natale invece cosa ha portato la Legge di Bilancio 2024?

Due brutte norme purtroppo, con più che probabili impatti negativi sui nuovi impianti a fonti rinnovabili (che quest’anno hanno coperto il 37,6% della domanda elettrica nazionale. Forse per questo che fanno sempre più paura?).

La prima norma è una modifica nella tassazione dei terreni, tramite il cambiamento al Testo Unico delle imposte sui redditi, che coinvolge i redditi derivanti dalla costituzione dei diritti reali di godimento, come il diritto di superficie. Approvata il 29 dicembre, la modifica è ora legge, ed è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 303 del 30 dicembre. Nella sostanza la nuova norma dice che il corrispettivo per la cessione del diritto di superficie può ora generare una plusvalenza tassabile per il proprietario dell’area, con un’incidenza fiscale potenziale fino al 43%, a seconda degli scaglioni Irpef. Questo può influire direttamente sui progetti di grandi impianti fotovoltaici su terreni agricoli, con l’ulteriore possibilità di aumento dei canoni di diritto di superficie da parte dei proprietari per compensare la nuova tassazione, e un aumento finale del costo di energia per i cittadini… che saranno in ogni caso gli ultimi a “rimanere con il cerino in mano”.

La seconda brutta norma sotto l’albero che ci ha regalato il Governo riguarda invece Il Decreto Legislativo
181/2023, pubblicato sulla Gazzetta lo scorso 9 dicembre, che introduce l’obbligo per tutti i nuovi impianti a
fonte rinnovabile, esclusi quelli geotermici ed idroelettrici, con una potenza superiore a 20 kW, di versare al
GSE un contributo di 10 €/kW nei primi tre anni di attività. L’obiettivo di questo contributo è alimentare un
fondo dedicato alla compensazione e al riequilibrio ambientale, mirando a favorire l’installazione di impianti
nelle diverse regioni e province autonome. Tuttavia, secondo Italia Solare, ANIE ed Elettricità Futura, questa misura avrà un impatto negativo su tutte le fasce del settore, colpendo impianti di varie dimensioni, dal residenziale all’industriale, con mancati guadagni da parte di una ampia fetta di investitori, perlopiù medio-piccoli.

Nonostante tutto però a mio avviso il 2024 sarà un anno positivo, avremo un considerevole aumento di
installato (aree idonee e adeguamento della rete elettrica MT e AT permettendo), inizierà l’era dello storage di grande dimensione, ed è stato appena approvato il Decreto Agrivoltaico innovativo che ha l’obiettivo (poco ambizioso) di installare 1,04 gigawatt di sistemi agrivoltaici entro giugno 2026. Oltre questo penso che l’industria e i grandi investitori realizzeranno più impianti, complici anche l’abbassamento dei tassi di interesse e il calo del prezzo dei moduli, raggiungendo (mi sbilancio) almeno la quota di 6 GW di nuovo installato a fine 2024. Non sarà quello che ci serve chiaramente, ma comunque sarà un miglioramento utile al raggiungimento dei nostri obiettivi strategici di lungo termine.

Insomma, a mio avviso il bicchiere è comunque mezzo pieno.

Questo articolo fa parte di una serie di articoli curati da Mauro Moroni per pv magazine Italia. Gli articoli precedenti erano focalizzati sui principali trend del 2023, sul DL Semplificazioni, sulla diversificazione tecnologica per superare impasse materie prime, sulle “strategie di resistenza sporche delle fossili”,  sul rapporto tra riscaldamento globale e mondo dell’energia, sulla Bozza decreto Aree idonee e sulla sua fotografia d’autunno.

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